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Forum Russia - Italia


"Ugolok" degli Italiani delle terre russofone - Gringox d'Ucraina (sola lettura).



gringox [ 20 Giugno 2011, 13:34 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 16 aprile 2009.


Della serie: "le foto quotidiane".

...giusto ricordare che bisogna tenere pulito un ambiente comune (è il cessetto della мойка dove io di solito lavo la macchina)...

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Ciao,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 13:36 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 17 aprile 2009.


Della serie: "le foto quotidiane".

Archeologia industriale sovietica - selo Bobrik, provincia di Romny, regione di Sumy.
Foto scattata durante la mia ultima trsferta in quella regione.

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La scritta sulla parete "Slava Hleborobam Ukrainy" - "Gloria ai produttori di pane dell'Ucraina"...

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 13:40 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 23 aprile 2009.


Ragazzi,

ieri sera al Палац Спорту di Kiev sono stato ad un grande concerto. Non so quanta gente c'era, 10.000, forse più, ma che importa... lo stadio era gremito e lo spettacolo da brivido.
Ebbene, con i suoi 60 anni, lei era, è, e rimane un "monumento" della musica russa... parlo di ALLA PUGACHEVA!!!

Già, ieri sera sono stato al mega concerto di Alla Pugacheva, il cd. "юбилейный тур" che la vedrà in tutte le piazze mondiali ovunque ci siano forti comunità di russi (dai Paesi ex-Urss, a Israele, agli Stati Uniti).

Se da una parte, durante le quasi 3 ore di concerto, sono state poche le canzoni che ha cantato che conoscevo, dall'altra lo spettacolo e la scenografia sono state effettivamente emozionanti. Il filo conduttore del concerto era "l'amore" e nel mega schermo alle sue spalle, sul palco scorrevano spettacolari immagini di una natura in movimento che ti trascinavano senza sosta e ti proiettavano in un mondo lontano... i giochi di luce, di colore e la sua incredibile arte nell'esprimere sensazioni col volto e con le espressioni e con la gestualità hanno poi dato il tocco finale allo spettacolo.

Ci tenevo tanto a vederla dal vivo. Non posso negare che è una grande artista, poi si può dire tutto e il contrario di tutto su di lei e sulle sue canzoni. A me non piace tutto il suo repertorio, ma parecchie canzoni sì.
E vederla dal vivo è stato entusiasmante.

Alla fine, sul palco, è salita pure Julia Timoshenko a portarle i fiori e a salutare il pubblico (ecco la chicca populista della solita Julia!) e a dedicare il saluto degli ucraini (милион украйнских сердец...) alla primadonna della musica russa degli ultimi 40 anni; è stata la prima volta che ho sentito parlare la Timoshenko in russo (e si sente che il russo è la sua lingua madre e quando parla in ucraino finge).

Piccolo aneddoto finale: seduti a fianco a me c'era una coppia sulla 50ina, forse lei era l'amante di lui, non so perchè ma avevo questa impressione. Beh, lui era seduto proprio di fianco a me, aveva un alito da far paura, forse aveva mangiato del pollo con aglio a pranzo, e per tutto il concerto è stato impassibile, mentre ogni tanto la sua donna, che si agitava ben più di lui, lo abbrancava e gli staccava qualche bacetto sulle labbra...ma su questo tutto normale. All'inizio del concerto, no, qualche minuto prima, la gentil signora prende un coltello dalla borsetta e con fare assolutamente normale e discreto si mette a tagliare la bottiglietta vuota di plastica della cocacola per creare due sottofondi, tipo bicchierini. Io con la coda dell'occhio continuo a fissare la scentetta e a fatica trattengo la risata. Questi vanno avanti nel loro intento, impassibili, spontanei e "tipicamente russi". Insomma, creati i bicchierini di plastica artigianali, la signore bionda riapre la borsetta e zacchete, tira fuori la bottiglietta di cognac, una bottiglietta 0,5 di litro, piccolina ma comodo per queste situazioni. Ed inizia a versare, e poi tira fuori la confezioncina di "ferrero roscher" e ne dà uno al suo uomo. Ed io guardo ed inizio a ghignare. E loro neanche una grinza. beh, cioccolatino in una mano, bicchierino con cognac nell'altra, breve "tost" e via...iniziano le danze bevitorie. fantastico, così oltre all'alito che sapeva di pollo all'aglio si è creato il miscuglio con l'alito da cognac...ma era uno spettacolo vederli. E per tutto il concerto sono andati avanti a ripetere diverse volte questa scenetta. E senza dare fastidio a nessuno, senza alcun clamore, senza mai voltarsi o rendersi conto che c'era gente di fianco...
Beh, sta scenetta mi ha divertito parecchio.
Peccato non aver condiviso con loro questa gioia, avrei fatto volentieri un "tost" con loro ad Alla Pugacheva!!

Un abbraccio da Kiev a tutto il forum,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 13:43 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 12 giugno 2009.


Voi sapete che spesso, quando mi trovo in trasferta nella "mia" Ucraina dell'Ovest, spesso e volentieri colgo l'occasione di soffermarmi in escursioncine culturali per visitare ciò che la storia ed il passato di queste terre ha lasciato a noi...certo non il paragone con la nostra Patria non regge, c'è ben poco qui di veramnete antico, ma qualcosina di carino si trova.


"Меджибізький замок" (XIII sec).


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Una caratteristica "хата" della regione di Хмельницький...

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Ciao,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 13:46 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 30 giugno 2009.


...nel frattempo, in queste finalmente caldissime giornate kieviane ho trovato il tempo per rilassarmi in spiaggia.
Ieri era festa, e per la prima volta in 4 anni ho provato l'acqua del Dnepr. In compagnia del Pero e del Fezol ci siamo trovati nell'affollatissima spiaggia di Obolon (che non è solo la famosa birra ucraina, ma anche un popolare quartiere di Kiev). Sabbia fina, ombrelloni, tanta gente; sembrava di essere a Rimini, ma soprattutto l'acqua giallastra del Dnepr.
Un'emozione nuotare in quell'acqua tiepida e poi voltarsi e vedere i palazzoni del quartiere, e dall'altra parte il porto e di fronte le verdi isole che punteggiano il fiume.
Ahhh...mentre nuotavo riflettevo su questa città chiamata Kiev, sulla sua "polistratificazione" che permette al cittadino di viverla a 360 gradi in ogni stagione; d'inverno abbiamo le piste da sci in centro città; d'estate abbiamo il nostro "mare", con spiagge e divertimenti...ma che bisogno c'è di andarsene in vacanza se dopo il lavoro, alle 6 di sera smonti, ti prendi l'asciugamano e ti fiondi ad Hidropark o ad Obolon e ti fai un "sano" bagno nel fiume??? E poi finito il bagno ti fai una bella passeggiata sul lungo fiume e ti bevi una freschissima birrettina, e poi te ne torni a casa bello rilassato.

Ahh...che bella Kiev d'estate!!


Un saluto a tutti,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 13:52 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
12 agosto 2009


Kiev e i limoni! (piccoli aneddoti kievliani)

Che l’estate a Kiev sia già finita non è ancora detto. Mi auguro di no! Ciò che però è evidente è che negli ultimi giorni non fa caldo e una pioggerellina in stile autunnale rende le mie giornate pregne di una strano senso di nostalgia e tristezza…beh, se penso che tra tre giorni è Ferragosto e la gran parte dei miei connazionali e non solo, se la spassa nei vari luoghi di vacanza al caldo, al sole o in compagnia, quella strana sensazione si acuisce e mi rende svogliato anche al lavoro. Ma è la sera che occorre reagire e combattere quella apatia e svogliatezza e spesso, conoscendomi, il modo più vivace è quello di mettermi ai fornelli e prepararmi qualcosa di buono da mangiare. Chissà perché ma oggi ho voglia di pesce, forse per sognare un pò, per volare lontano, in qualche posto di mare, immaginando di poter degustare del buon pesce appena pescato. E invece mi tocca finire ciò che ho nel freezer da tempo, cioè un “som” comprato dai pescatori nella zona del fiume Vovk, nella Hmel’nitskaja obl., durante una mia trasferta da quelle parti. Non che sia un gran pesce, bello grasso, ma con poche spine, una sorta di salmone, ma di colore bianco e dal sapore “fangoso” e salmastro tipico di fiume. Ma è tutto ciò che offre il “Quartier generale” del Gringox oggi.
Tiro fuori dunque il pescione ma subito mi accorgo che tra i vari ingredienti mi manca il limone. Non è che io faccia in generale gran uso di limoni in cucina e quasi sempre nel frigorifero mi manca. Ma sicuramente dopo questa esperienza, d’ora in poi un limoncino lo terrò sempre, piuttosto mi va a male – ma non si sa mai! E così, senza troppo pensarci, ma un pò di controvoglia per la pigrizia di dover fare un salto al supermercato solo per prendere un limone, per di più in questo uggioso inizio di serata, esco di casa e mi metto in macchina.
Ore 18,40: giungo al “mio” supermercato vicino a casa, dove sono solito fare la spesa. Si tratta del “Velika Kishenja” (un nome che infonde speranza: la speranza di poter trovare e comprare ogni tipo di prodotto per poter riempire le proprie tasche, eheh! “Grande tasca” significa infatti in ucraino…se noi a Milano abbiamo la “Esselunga”, qui a Kiev abbiamo la “Grande tasca”…), mi fiondo al reparto ortaggi e frutta, cerco qua e là ma non vedo i limoni. Chiedo alla commessa: con un filo di voce mi dice “nema limoniv”, solo lime. E che me ne faccio del lime? Io ho bisogno di limoni! Vabbè, sconsolato, giusto per non uscire a mani vuote dal supermercato vado a prendermi una confezione di succo di pomodoro, mi è balenata nel frattempo in mente l’idea di farmi un bel “bloody mary” quando torno a casa; la vodka non è un problema trovarla, e poi anche a casa mia è sempre presente. Esco dal “Velika Kishenja” e mi dirigo al “Furshet”, quello in ul. Gorkogo, vicino alla metro Lybydskaja, non lontanissimo da casa mia e – dicono in molti qui – ben fornito, forse più del “Kishenja”. Ore 19,20. Io ci sono stato un paio di volte, non mi sembra ci sia tutta questa differenza col “mio” supermercato, però proviamo…eccomi dentro, arrivo al reparto frutta e verdura, cerco qua e là, ma anche qui non vedo limoni! Chiedo alla commessa indaffarata a pesare dei pomodori ad un cliente e a chiuderli nel sacchettino di plastica trasparente. Si perché qui in Ucraina il cliente non si chiude il sacchettino con la frutta e la verdura da solo e non se lo pesa da solo. No, occorre riempire il sacchettino e consegnarlo alla commessa che tutto il giorno se ne sta lì, in piedi, accanto alla bilancia e non fa altro che prendere i sacchettini dei clienti, pesarli, staccare l’etichettina col prezzo, chiudere i sacchettini e riconsegnarli al cliente. Beh, lei mi risponde gentilmente che i limoni da un pò di tempo non li consegnano al supermercato e che hanno solo lime. O porca miseria, penso, ma come è possibile? Come fanno a mancare i limoni? Sarà effetto della crisi anche il deficit di limoni? E così, nuovamente sconsolato, giusto per non uscire a mani vuote anche dal “Furshet”, vado a prendere un pezzo di pane che così a casa mi faccio un antipastino con del salame e del formaggio che ho ancora dall’ultima spesa fatta in Italia (l’ultima volta che son stato a Milano era un mese e mezzo fa), mentre mi sorseggio il “bloody mary” fatto col succo di pomodoro comprato prima al “Velika kishenja”.
Esco, sono le 19,45. Conoscendomi so che non mi posso fermare davanti a questa difficoltà improvvisa ed inaspettata. Devo trovare questi limoni del cavolo! Faccio mente locale; rientrando più nella mia zona, su verso Amurskaja ploshad’ c’è il supermercato “Perekrestok” (che significa “incrocio”; si tratta di una catena russa di supermercati, presente anche a Kiev). Anche lì sarò stato al massimo due o tre volte, e se non altro – penso io – anche se non trovo i limoni, poi in un attimo sono a casa e preparerò qualcos’altro.
Sono circa le 20,00 e arrivo al “Perekrestok”. Supermarket semivuoto! Al reparto frutta e verdura la solita commessina annoiata, accanto alla bilancia, mi dice che limoni non ce ne sono e che non sa quando e se arriveranno! Hehehe, non ci credo! E’ il terzo supermercato che visito, sono in giro da un’ora e mezzo, sono a Kiev, città di 5 milioni di abitanti, mi trovo in una zona non lontana dal centro, sono entrato in due delle catene di supermercati più popolari e diffuse in Ucraina e a Kiev…e non ho trovato un benedetto limone! A questo punto diventa una questione di principio! Altro che tornarmene a casa. Pesce o non pesce, anzi, la voglia di cucinare il pesce mi è pure passata, ma la cocciutaggine di trovare il limone mi spinge a non fermarmi, a costo di girare la città e di arrivare in “Troeshina” (quartiere popolare a circa 40 km. dal mio, sulla riva sinistra del Dnepr, oltre il “Moskovskij most”)…
Anche qui non posso non comprare niente: esco dal “Perekrestok” con tre – dico tre – cipolle!
Ore 20,20. Credo di sapere dove posso trovare il mio “tesoro” giallo. Al “Mega Market” di ul. Gorkogo. Sì, proprio nella stessa via del “Furshet”, ma molto più in centro rispetto a quello. Avrei dovuto pensarci e passarci prima, invece di venire qui, ma forse la speranza di trovare ciò che cercavo o la rassegnazione della sconfitta, rimanendo comunque più vicino a casa, mi ha spinto a tornare nella mia zona…ma adesso non ho altra scelta. Provo ad andare là.
Il “Mega Market” è di nome e di fatto “mega”! Un grandissimo supermercato, ben illuminato, con reparti ampi e fornitissimi di tutto. Ci sono anche prodotti di provenienza europea (formaggi italiani, salumi italiani, vini di vari Paesi del mondo, ecc…). Non che tutto ciò al momento mi interessi, anche se la curiosità di sapere cosa hanno di “italiano” è molta, la priorità del momento è il limone. Mi dirigo al solito reparto frutta e verdura. Prima di chiedere dò un’occhiata in giro: porca miseria, c’è di tutto. Pure la rucola, il radicchietto rosso trevigiano – anche se leggermente marcito nelle foglioline più esterne; manghi, papaye, addirittura foglie di palma (a cosa serviranno, non so!)…mi giro ed improvvisamente vedo la cassetta coi limoni. Evvai! Finalmente li ho trovati! Cosa strana la soddisfazione che percepisco per avere ottenuto un risultato sulla “carta” così banale e così teoricamente facile…ma a Kiev, di questi periodi, nulla è da considerare “facile” o banale! E l’esperienza dei limoni lo dimostra palesemente. Ne compro tre.
Felice per l’acquisto, faccio un giro veloce per il supermercato, vedo tante cose belle e mi riprometto che tornerò qui a far spesa presto.
Nel frattempo mi è pure passata la fame e la voglia di mettermi a cucinare il pesce al forno.
Ore 21,00 circa. Arrivo finalmente a casa…con tre limoni, il succo di pomodoro, il pezzo di pane e le tre cipolle. Il “tour” dei supermermercati durato due ore e mezzo è finito. Adesso so dove parare se ho bisogna di qualcosa.

Mentre mi sorseggio finalmente il mio “bloody mary” ripenso a questa piccola avventura di vita kievliana. Io che ormai da quattro anni e mezzo vivo qui, so che non mi devo più sorprendere di nulla, eppure certe volte è più forte di me, non riesco a non meravigliarmi di certe situazioni che mi capitano…ma in fondo è bello viverle così, senza sentimenti estremi, nella semplicità e col buon umore necessari per poter affrontare una quotidianità ed adattarsi ad essa, per molti aspetti completamente diversa da quella nella quale sono cresciuto.

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:00 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 22 settembre 2009.


Riflessioni ucraine...

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E’ autunno. (riflessioni ucraine)

Un brivido di commozione mi assale e cedo alla tentazione di fermarmi per qualche minuto in silenzio ad ammirare questo “quadretto” ottocentesco.
Sono nella Ternopolskaja oblast’ (regione di Ternopol’) e, come spesso mi capita, la trasferta di lavoro si trasforma ora in un meraviglioso momento di “viaggio”, la tipica situazione in cui improvvisamente la ragione lascia spazio al predominio del sentimento e le cose che vedo diventano nutrimento per l’animo. Mi fermo, chiudo gli occhi per un istante, di colpo resuscitano i ricordi di scuola e delle poesie che si imparavano a memoria; mi pare prendano forma e vita quelle rime del Leopardi o del Carducci o del Pascoli che tanto amavo per la loro profondità e che procuravano in me già allora una dolce nostalgia e la commozione in chi, come in me, scorre in parte nel proprio corpo, del sangue contadino…non siamo nella Romagna o nella Toscana ottocentesca, ma poco importa. Il romanticismo palpabile nell’aria annulla il tempo e cancella le distanze ed io sono qui, spettatore improvvisato, a condividere questa simbiosi con la natura.
Il ritmo delle stagioni in nessun luogo come qui, nella campagna ucraina, “solca” la vita dell’uomo. Così come questi cavalli quieti, spinti da questi uomini lenti e costanti, solcano rassegnati una terra morbida e ricca di quel “frutto” che più di ogni altro costituisce la base dell’alimentazione per questa gente. Inizia l’autunno e la raccolta delle patate è un momento importante per la vita di campagna. Penso a loro, penso a questi uomini e donne, ai loro padri, ai loro nonni ed antenati che sin dall’origine del tempo compivano con abnegazione questo duro lavoro stagionale, in silenzio e meticolosamente. Nulla pare cambiato da allora: i cavalli, gli aratri di legno, il carretto di legno, la nebbiolina triste che sbiadisce i colori della natura, offuscandone le forme… Per questi uomini ogni anno, al ripetersi della stagione, si ripetono le stesse azioni. Poco importa se a qualche centinaio di metri dal loro campo sfreccia ogni tanto una macchina che vorrebbe ricordare loro la civilizzazione. Una civiltà così vicina e al tempo stesso così lontana da loro! Essi non si badano di ciò, di ben più vitale importanza per le loro semplici esistenze è il portare a termine il proprio lavoro. E poi, a sera, rientrare stanchi al focolare domestico per scaldarsi intorno alla stufa, che spesso, nelle campagne ucraine, è ancora a legna!
Io li ammiro, intravvedo appena le sagome dei loro ruvidi volti, che immagino solcati da rughe profonde, che rendono questi giovani uomini già vecchi; ammiro la loro orgogliosa e muta rassegnazione; chissà a cosa pensano mentre lavorano. Vorrei “tuffarmi” nei loro pensieri, parlare con loro. Chiedere loro se sono felici, se hanno delle aspirazioni, dei sogni, se pensano di poter in qualche modo cambiare la loro vita. Ma no, forse a loro non è dato pensare, non riescono a immaginare qualcosa di diverso, non hanno certo avuto la possibilità di scegliere un qualche destino diverso da quello che gli è stato assegnato alla nascita. Ciò a conferma di un ordine naturale misterioso che attribuisce chissà perché ad alcuni una sorte ed altri una diversa, pur essendo tutti uomini e tutti teoricamente uguali. Sì, è vero, alcuni lasciano le campagne, alcuni arrivano alla città, altri addirittura giungono in altra Terra a cercare fortuna, un lavoro “civile” e “normale”…ma per quanti ne emigrino, altrettanti restano, a perpetuare la cultura e la tradizione di questa Terra; ed ecco il mio pensiero si ferma a costoro, che sono qui davanti a me, e che si muovono lenti! No, non è dato a me immaginare i loro pensieri…mi posso solo limitare a guardarli stupito e a rispettare questa loro semplice ma dura esistenza. Il rispetto! In silenzio!
Ed io sono forse felice?
D’un tratto squilla il telefono cellulare: un cliente riporta me alla mia quotidianità, al lavoro, e mi ricorda che la strada per Kiev è ancora lunga… lascio lì quell’umanità dignitosa, nel campo in compagnia dei loro cavalli e della nebbia che pare ora meno fitta, e mi rimetto in moto.
La strada è ancora lunga…

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:05 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 15 ottobre 2009.


…il villaggio di TATARYNCY (regione di Ternopol’, ovest Ucraina).

Il tempo si è fermato! La pura campagna ucraina è ora tutta per me, ferma, romantica, dolce…
Questo villaggio sperduto non è altro che un’entità superstite di un mondo lontano nella mia immaginazione e nella mia cultura, ma che qui in Ucraina è tuttora il presente e, credo, almeno il futuro prossimo. Nulla sembra cambiare qui, di stagione in stagione, di anno in anno. Poche casette, alcune di fango secco, altre di mattoni o di un misto di legno e mattone, con gli intonaci scrostati e cadenti e dai tetti di vecchia lamiera arrugginita; casette come quelle dei “Puffi”, divise tra loro da recinti e palizzate di legno che a malapena si reggono in piedi e a poco servono come divisori territoriali, a sottolineare oltre allo stato di abbandono la condizione di stretta convivenza della piccola comunità umana che va oltre le staccionate...



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La chiesetta, immancabile nel villaggio ucraino; simbolo di una religiosità arcaica che significa unità, fratellanza e condivisione. Una religiosità che spesso si confonde e si mescola con la tradizione profana, con la magia, col ripetersi di usanze in cui il confine tra il sacro e il profano è praticamente impercettibile. La gente qui non ha mai messo in discussione e mai lo metterà, la funzione della chiesa e allo stesso tempo non rinuncerà mai alle credenze che tutto hanno meno che l’essere di origine religiosa.
Queste chiesette spesso hanno resistito agli anni feroci dello stalinismo, piegandosi, tacendo, ma mai soccombendo definitivamente, ed ora hanno ripreso ad essere il fulcro della vita di villaggio.
Belle, pure. Vere!


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...la tenera coppietta di vecchietti va a fare la spesa al chioschetto...


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Spesso mi fermo in questi villaggi, osservo le cose, gli animali, gli uomini e vorrei interagire con loro, ma mi rendo conto che sono di passaggio e che potrei turbare la quotidianità di questa realtà. E allora mi limito ad osservare in silenzio…

Chissà perché questo villaggio si chiama “Tataryncy”, che abbia qualche connessione con l’etnia tatara? Questo interrogativo me lo sono portato a dietro per tutto il viaggio di rientro verso Kiev, ma senza poter trovare una risposta.

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:08 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 16 ottobre 2009.


Riflessioni ucraine.


Il volto dell’Ucraina dei piccoli paesi di provincia, lontano dalle grandi città, dove il presente stenta ad emergere e l’eredità del passato continua incredibilmente a garantire la sopravvivenza della popolazione.
Che spettacolo! Uno spaccato di “archeologia sovietica”, una delle cose che più coinvolge e sconvolge la mia sensibilità quando penso alle Russie. E che, non ho mai capito bene il perché, ma riesce sempre a colpirmi ed emozionarmi.



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Nel parcheggio di una piccola fabbrica ancora tutta sovietica nell’apparenza (e probabilmente nella sostanza e nella qualità della produzione), poche macchine, anch’esse tutte sovietiche, quasi ad imprimere agli occhi un concetto: che oggi, nel 2009, nonostante quasi vent’anni siano passati dalla morte dello stato socialista, qui, in questa parte di Ucraina dell’Ovest il tempo si è fermato. Credo di trovarmi nella regione di Hmel’nitskij o già in quella di Zhitomir, ma poco importa.


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Mentre osservo il quadretto, sorrido al pensiero che questa immagine, questa foto, poteva essere identica 25-30 anni fa! Stesso edificio, stessa torretta di controllo, stessa cancellata, stesse inferiate alle finestre (mi hanno sempre colpito queste inferiate, a forma di sole emanante lunghi raggi ferrosi – ovviamente il “sol dell’avvenire”), stesse automobili, stessi autobus, stessi colori…
E non solo, questa immagine, questa foto, poteva provenire dall’Armenia o dal Tajikistan, o dalla Lituania o da Sakhalin…e sarebbe stata assolutissimamente e drammaticamente identica!

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:13 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 27 ottobre 2009.


Archeologia sovietica e stato di conservazione!

Non per dare giudizi, ma sempre per dar sfogo all’animo. Non so perché, ma queste realtà riescono a suscitare in me tanto fascino e uno strano senso di nostalgia…


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Nulla di più palpabile questo decadentismo architettonico che riflette il decadentismo morale della comunità umana di queste terre verso la “cosa pubblica”. Nei paesi di periferia, nei villaggi è ora quasi tutto abbandonato, decadente, dimenticato. Eppure certe strutture, pur in tale stato di conservazione, continuano a mantenere gli stessi “nomi” sovietici e a svolgere la funzione sociale per la collettività, che il socialismo le aveva attribuito: cinema, stazioni degli autobus, strade, stazioni di rifornimento di benzina, palazzi della cultura (ex centri culturali del partito), vecchie fabbriche o “centri commerciali”, ecc.


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Edifici praticamente uguali ovunque, sul piano architettonico e dello stile. Emblema della grandiosità strutturale e ideologica del sistema socialista sovietico.
E ripenso a ciò che significava per questi popoli l’Unione Sovietica nella quotidianità: l’unità ideologica era impressa dall’immancabile Lenin onnipresente, o da simboli della guerra, di eroi sovietici, di carrarmati, di aerei; ideologia era anche uniformità architettonica degli edifici e delle strutture del bene comune; l’unità reale del territorio era garantita e promossa dalla ramificazione dei collegamenti (stradali e ferroviari), pure nei posti più impervi ed impensabili (e ripenso al Pamir in Tajikistan, o qui nei Carpazi, o a Sakhalin).


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E ripenso allo sforzo collettivo di queste genti, di questi uomini, di queste donne, delle generazioni, e alcuni di loro ci credevano, eccome ci credevano, a ciò che facevano. E a quante vite sono state date per la realizzazione di questo progetto sovietico…


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E ora? Mi chiedo, e ora che sono passati quasi vent’anni dalla caduta delle statue di Lenin, perché queste realtà rimangono così, cadenti, abbandonate, ma pur sempre in utilizzo? Perché questa gente, queste nuove generazioni non si preoccupano di dare un volto diverso al loro bene pubblico?


Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:16 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 28 ottobre 2009.


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Zhitomir, 140 km. da Kiev, 284.000 abitanti: una delle città ucraine più drammaticamente rimaste “sovietiche”.
Piazza Lenin. Oggi come ieri il centro della città. Oggi come ieri l’asfalto è decrepito e nessuno lo risistema. Oggi come ieri la viabilità sovietica regola la circolazione delle auto (niente semafori, solo strisce appassite che indicano come muoversi). Oggi come ieri, il "nonnino" Lenin è ancora in piedi, troneggia davanti al palazzo del parlamento cittadino e nessuno qui ha intenzione di toglierlo dalla piazza. Oggi, a differenza di ieri, la tecnologia ha introdotto nuove autovetture che, ai miei occhi un pò indelicatamente, stonano nell’ambito di questo quadretto.
Oggi come ieri…


Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:18 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 05 novembre 2009.


Ragazzi, ieri sera delirio. Sono ancora infreddolito e senza voce! Il nostro gruppetto italico era lì, sugli spalti tranquillo e apparentemente invisibile circondato e accerchiato dalla marmaglia di rifosi della Dinamo! Solo il Gringox di tanto in tanto si ergeva sul seggiolino a gridare "Forza Inter" facendo breccia tra le urla ben più possenti e roboanti della tifoseria nemica. Però mi sentivano eccome! E quando io mi alzavo e gridavo, loro si mettevano a ridere e a gridare più forte. Fino all'80° circa era tutto un altrenarsi di cori pro-Dinamo. Nel secondo tempo qualcosa sembra cambiare nel gioco sonnecchioso dell'Inter. Poi improvvisamente il gol di Milito al 86° riaccende le speranze ed io inizio ad urlare più forte. Il tipo davanti a me che si continuava ad alzare ogni due per tre e a voltarsi per farmi i gestacci, improvvisamente si tranquillizza e inizia ad abbassare la voce, hehehe… e siamo 1-1. E mancano 5 minuti alla fine della partita! Poco dopo una situazione confusa e scalpitante in area della Dinamo, pochi attimi, azione rocambolesca e gooooooooollll!! Schneider siglava il gol definitivo della vittoria nostra! Incredibile! A quel punto gli spalti dietro di noi si chiudono in un silenzio tombale ed il Gringox si innalza solo di nuovo sul seggiolino gelato e iniiza a saltellare e stendere la sciarpetta dell'Inter urlando a squarciagola "Forza Inter"... nessuno osava più fare gestacci o controbattere!
Bello, bella emozione! Bella serata.

In prima fila cmq è una figata. I giocatori erano lì, a 5 metri da me...

Per quanto concere il gioco stesso, bah...poco da dire. A ma l'nter ieri non è piaciuta tanto. Ma l'importante è aver portato a casa i 3 punti!

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:20 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 20 novembre 2009.


Non mandatemi a c....re !!
Soprattutto per chi è musicista o artista o suona, ecc...

Ieri sera al Palats Ukrajina ho assistito ad un concerto stupendo. 3 ore di melodia italica, pezzi che sentivo quando ero piccolo, pezzi storici di sanremo, dei sanremi degli anni 80....

Il mitico Toto Cutugno, era li', claudicante per la malattia, in vestito bianco che pareva una figura d'oltretomba nella scenografia con cielo stellato del palco. Alla fine di ogni pezzo, nuguli di ragazzette bellissime, salivano sul palco lasciando meravigliosi fiori, chiedendo l'autografo al sussurro di: "Toto ja tebja ljublju"...

Ahhh che spettacolo!

E Toto si gongolava di ciò, ringraziava queste ragazzotte e alcune le baciava sulle labbra con enorme "uuhhhhh" di risposta dalla platea!

E Toto introduceva i pezzi, interagendo col pubblico, dialogando (con ausilio della sua interprete bellissima di Mosca – che, come dice lui, lo segue sempre!) e il pubblico rispondeva con sorrisi di massa e applausi.

Bello. Non sto scherzando.

Una volta nella vita è bello! Sentirlo a Kiev, da Italiano... mi ha lasciato un senso di piacere, mi ha fatto sentire italiano...

Bello!


E così il Giubileo Forumistico l'ho festeggiato con Toto!


Un abbraccio,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:23 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 02 febbraio 2010.


...il grande gelo di settimana scorsa...la mia prima trasferta dell'anno nell'ovest Ucraina è stata un'avventura!

Già a mezzogiorno la temperatura segna: -17; la mattina e la sera era arrivata fino a -24!


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...la condizione delle strade ed il paesaggio intorno. Guidare in queste situazioni non è facile. Si incontra una macchina "ogni morte di Papa" e si deve mantenere la macchina nei solchi segnati tra il ghiaccio, altrimenti si scivola via. Questo inverno a mio parere è il più freddo di tutti i cinque inverni che finora ho vissuto in Ucraina, ed è sempre emozionante viverlo nel profondo, anche grazie a queste avventure.


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...a qualcuno purtroppo le cose non vanno molto bene! Ne ho viste tante di situazioni del genere durante la mia trasferta...


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Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:28 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 18 febbraio 2010.


...e ancora scenette della quotidianità kieviana...l'inverno che, incurante delle beghe politiche, della crisi, dell'economia, continua a far sentire pesante e massiccia la sua voce!

Le "montagne" di neve (sugroby) che "ornano" il cortile e il nostro territorio intorno all'edificio dove si trovano i nostri uffici e magazzini; e in tutta la città queste montagnette di neve e ghiaccio accompagnano i marciapiedi e le strade.

Quest'anno c'è veramente tanta neve, e, tanto per cambiare, anche oggi sta nevicando!


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Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:31 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 08 giugno 2010.


Lasciate ogni speranza o voi che entrate…ehehe, perché dal mitico "Kalinka Malinka", luogo di “antiche” e profonde perdizioni, non si può uscire in condizioni “normali”… la scritta sulle porte dell’ascensore è chiarissima in questo senso.


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Ahhh…il “buon vecchio” Kalinka, uno dei miei klub (discotecca) preferiti, lontano dalla banalità dei locali del centro, e con tanta buona e piacevole musica russa “retro”…


Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:39 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
29 giugno 2010 - (pensieri ucraini).


ore 19,40

Questa è una di quelle situazioni in cui ho voglia di scrivere. Non so bene per chi, sicuramente per me stesso anzitutto, ma è uno di quei momenti in cui più sento la gioia di questa vita ucraina e russofila che da più di cinque anni ha cambiato la mia esistenza. Una di quelle situazioni in cui il confine tra la vita di routine quotidiana e la percezione del “viaggio” inteso come avventura, come alienazione dalla “normalità” quotidiana, è sottilissimo.
Sono “svaccato” sulla cuccetta superiore del quarto vagone del treno “firmennij” Kiev – Chernovcy (treno chiamato “Bukovina”, dal nome della regione di cui Chernovcy è il capoluogo); in ciabatte, pantaloncini e canotta, come molti degli altri sconosciuti compagni di viaggio che sono sul vagone negli altri scompartimenti. Nelle “Russie” è molto diffusa l’usanza del viaggio in treno per lavoro: manager, tecnici, venditori, spesso compiono le proprie trasferte in treno ed è bizzarro vedere come molti uomini salgono sul treno eleganti, in camicia e cravatta e, dopo pochi minuti dalla partenza, li rivedi in ciabatte e maglietta, per poi ritrovarteli come se nulla fosse successo, la mattina dopo (dopo la notte di treno) nuovamente impettiti, eleganti e pronti per affrontare il proprio lavoro nella città di destinazione.
Oggi non dovevo essere qui; ma come spesso accade nel mio lavoro in Ucraina l’improvvisazione è parte del “gioco”. Il cliente mi ha telefonato ieri per chiedermi di aiutarlo a risolvere una questione urgente “in loco”, presso un cantiere e che serve al più presto la presenza del nostro tecnico e la mia. Non avevo voglia di mettermi in macchina per “spararmi” 1.200 km. circa di strada per raggiungere Chernovcy e tornare indietro, in due giorni! E col rischio di impantanarmi nell’acqua alta che da qualche giorno sta ahimè devastando le campagne della Bucovina a causa delle forti piogge che hanno provocato l’esondazione dei fiumi Dnestr, Prut e di altri fiumiciattoli minori, isolando villaggi e paesi ed interrompendo in diverse parti la comunicazione stradale.
Eccomi dunque qui! Nel mio “amico” treno: un viaggio lungo 15 ore (che roba… 15 lunghe ore per percorrere 600 km.) verso di là e rientro domani sera – altre 15 ore – alla volta di Kiev. Ci impiega così tanto perché ad un certo punto, credo dopo Ternopol’, il binario si fa unico e il treno inizia a correre più lentamente; prima, ai tempi dell’Unione Sovietica e forse anche un pò dopo, il treno per Chernovcy, una volta oltrepassata la città di Hmel’nitskij, si spingeva verso sud, entrando in territorio moldavo, superando il fiume Dnestr e costeggiando qualche chilometro il confine moldavo-ucraino (ma in territorio moldavo) per poi rientrare in Ucraina e giungere a destinazione in un tempo più ragionevole. Oggi Ucraina e Moldavia sono due Stati diversi e al treno Kiev – Chernovcy non è più concesso di passare su e giù per il confine ed ecco dunque che si spiega il lungo viaggio. Ha sempre suscitato la mia curiosità il guardare le cartine degli Stati dell’ex-Unione Sovietica, osservare le linee che indicano le strade e in particolare le ferrovie che paiono compiere dei percorsi arzigogolati stranissimi, talvolta intersecando i confini di Stati vicini… oggi l’Unione non c’è più ma quelle strade ferrate esistono tuttora e spesso purtroppo la nuova configurazione statale impedisce di poter percorrere quelle tratte, obbligando a ripiegare su altre, magari secondarie, ma rientranti nel proprio territorio.
E così il treno: un “momento” di vita sociale russa di grande intensità. Ho scritto altre volte delle mie esperienze ed avventure in treno, dei miei viaggi all’interno della Russia; chissà perché il treno è fonte di ispirazione per me…guardo fuori e mi rilasso, lasciandomi trasportare dal ritmo lento ed incostante che caratterizza l’andatura di questo catafalco ferroso…
Goccioline di sudore mi scendono sul volto e sulla schiena, il caldo è penetrante, e solo a tratti è mediato dalle folate di vento che provengono dal finestrino aperto e che sbattacchiano le tendine su e giù. L’aria condizionata non è ancora arrivata da queste parti e tutto sommato per me e per la mia testa è un bene, preferisco l’aria, anche se calda, che viene da fuori…
Fuori la campagna, l’immensa, sterminata e talvolta ondulata distesa verde ucraina, punteggiata di casette varie, alcune di mattoni bianchi, altre di mattoncini rossi, altre ancora, ben più antiche, fatte del miscuglio di terracotta, escrementi e paglia e pitturate di bianco (le tipiche “хата” ucraine), ma tutte sempre ad un piano solo e a forma quadrata, con tettucci a “v” al contrario spigolosi, e con le finestrelle decorate; casette, soprattutto queste ultime, che da secoli sono sempre uguali, in barba alla modernità, ad eccezione del tetto, dove ormai quasi ovunque il mattone o il legno hanno sostituito la paglia.

La sensazione di gioia che provo è indescrivibile e si mescola con la nostalgia di pensieri che mi riportano indietro nel tempo…percepisco la sensazione del “viaggio”…e penso che sono in giro per lavoro!!

…ops…Vova mi sta chiamando, evidentemente ha già fame, eheh…è ora di andare a rifocillarci un pò nel vagone buffet, ci aspetta, come da usanza, una bella bevuta…


Il Gringox “svaccato” sulla cuccetta del quarto vagone del “фирменный поезд” Bukovina, Kiev – Chernovcy.


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Il vagone “buffet”: divertente la bilancina con le iconcine… per la serata in treno io e il mio collega Vova selezioniamo la “Tselsij” (Целсій), tra le diverse opzioni di vodka che si presentano a noi; prendiamo una bottiglia di vodka, succo di pomodoro e ordiniamo qualche “zakuska”…


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Il bagnetto del vagone. Ancora oggi, dopo tanti viaggi su questi treni mi chiedo chi abbia avuto la geniale idea, igienica e ottimizzatrice d’acqua, di realizzare questi lavabi dai quali l’acqua esce solo quando si tiene premuto un tastino sotto il rubinetto; praticamente impossibile riempirsi le mani d’acqua per lavarsi la faccia…


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Immagini degli allagamenti causati dalle piogge e uragani degli ultimi giorni nella Bucovina. Purtroppo le foto del telefonino non rendono benissimi, ma io ammetto di non aver mai visto nulla di simile coi miei occhi! Tutto allagato, gente che si muove di casa in casa coi gommoni, campi trasformati in palude e tutto per chilometri chilometri…


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Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:42 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 28 aprile 2011.


È veramente tanto tempo che non aggiorno il “Gringox d’Ucraina”. Lo faccio adesso scrivendo due righe sul mio wekend di Pasqua ucraino trascorso in Crimea, a Yalta.
Nelle mie solite trasferte di lavoro nell’ovest Ucraina (ormai sono 6 anni che giro sempre gli stessi posti) sono ormai abituato a confrontrami con una realtà ucraina diversa da quella di Kiev, fatta di campagne sterminate, di colline dolci, di paesini e villaggi fermi nel tempo attraversati da carretti trainati da cavalli fino alle boscose montagne dei Carpazi. Forse la vera Ucraina, quella di una popolazione di lingua ucraina, nazionalista, con le sue tradizioni molto più vicine alla mittleuropa più che alla Russia. Ma l’Ucraina non finisce mai di stuprimi! In Crimea sono stato catapultato in tutt’altra realtà – sebbene lo sapessi sulla carta. Qui al contrario dell’ovest non c’è quasi traccia di “ucrainicità”, tutto scritto in russo, la gente parla solo russo, addirittura all’interno delle macchine molti espongono la bandierina russa…se non si incontrasse ogni tanto la bandiera ucraina gialla e blu che sventola e non si pagasse con le grivne, direi che potremmo tranquillamente trovarci in una regione della Russia!

Un piacere passeggiare lungo la набережная Ленина (naberezhnaja Lenina – lungomare Lenin), dal Parco Kalinin alla Piazza Lenin dove trionfa ancora la statua dellorgoglioso padre della Rivoluzione d’Ottobre, anche se ora deve condividere lo spazio con un vivacissimo McDonald di fronte. Tra palme, bar, discoteche e chioschetti che propongono suovenir ed escursioni si cammina per circa due kilometri: da una parte il mare col piccolo porticciolo e le minuscole spiaggette ghiaiose, dall’altra parte i bei edifici bianchi restaurati che danno sulla strada, e sullo sfondo le alte montagne rocciose con le vette ancora innevate. Si scorge bene la vetta del monte Ay-Petri (Ай-Петри,1233 m.).


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lungomare



Yalta è davvero bellissima. Certo bisogna comprenderla nella prospettiva di “kurort” sovietico (ora post-sovietico) cioè non bisogna scandalizzarsi nel vedere i rigogliosissimi e verdissimi pendii delle montagne puntellati di “casacce” e palazzoni soviet che come funghi bianchi enormi spuntano dal suolo e mostrano al cielo tutta la loro bruttezza…di contrasto invece è la vecchia Yalta con le sue casette basse semidiroccate di mattoni e legno e le viuzze piccole dove certo la pulizia non è di casa, ma le danno un tocco pittoresco unico! Stupenda è la chiesa di Aleksandr Nevski con le sue cupole dorate.

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Chiesa Aleksandr Nevski.


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Una intensa emozione mi ha assalito durante l’ascesa in bidonvia che porta dal centro di Yalta fino al belvedere; da una parte un po’ di preoccupazione per lo stato della struttura che tra scricchiolii, ruggine e dondolii strani, dà la sensazione che non sia stata revisionata da decenni; dall’altra per il ricordo di quel “mal’chik bananan” che saliva con la sua bella, della quale si era perdutamente innamorato, e in sottofondo la toccantissima colonna sonora degli Aqvarium…parlo del film “Assa” (Асса) e della dolcissima canzone “Gorod zolotoj” (per chi non l’abbia mai visto, consiglio di vederlo, a me è piaciuto un casino! È uno di quei film sovietici che vedo almeno una volta all’anno! http://www.youtube.com/watch?v=G0F_rFcASRw).


bidonvia



Ciò che colpisce quando dopo aver lasciato l’orrenda Sinferopol’ (capitale della Repubblica Autonoma di Crimea), attraversato il passo e inizato la discesa verso la ЮБК (Южный Берег Крыма – sponda meridionale della Crimea) è la diversità della vegetazione: dagli ulivi, alle rose, ai tassi, a piante di pistacchio, ad abeti, a pini marittimi, a ciliegi, a magnolie…ma sono i vigneti ad impressionare maggiormente. Questa è la zona ucraina più rinomata per i vini (Massandra, Inkermann, Koktebel’), forse più dei Carpazi, anche se le qualità che si producono sono per lo più dolci, liquorosi e da dessert. Tanti appezzamenti di vigneti poggiano sui pendii delle montagne e guardano verso il sole.
La strada che scende a Yalta è un tuttuno di tornanti, ma l’asfalto è in buone condizioni – cosa strana per l’Ucraina. Una nota curiosa: sulla strada Sinferopol’ – Yalta funziona il filobus che percorre la tratta più lunga del mondo, ben 85 km! (io non l’ho provato, ma la prossima volta giuro che lo faccio, hehehe, quasi 3 ore per percorrere 85 km., su un vecchio e sbilenco trollejbus sovietico).


trollejbus



I dintorni di Yalta sono veramente interessanti e qui sì che si respira un po’ di storia, quella degli ultimi due secoli; ma almeno le attrazioni non mancano.
La casa museo di Chekov, con le suppellettili ancora rimaste così come le aveva posate il grande scrittore russo che qui cercava di curarsi dalla tubercolosi e trascorse gli ultimi suoi 5 anni di vita. Molto rilassante è l’atmosfera che si respira in questa dacia immersa nel verde, a due passi dal mare.

Proseguendo verso ovest, sempre zizzagando tra i tornanti e tra un sanatorio e l’altro (i sanatori, così si chiamano, oggi sono tipo alberghi, ma erano dedicati e lo sono ancora alle cure varie per diverse malattie), si raggiunge dopo pochi kilometri il Livadiskij Dvorets (Ливадииский Дворец), un palazzo bianco, anch’esso in mezzo ad un enorme parco dove io ho percepito i brividi della storia. Camminando all’esterno ma soprattutto dentro quelle enormi stanza rivedevo i grandi della terra che nel febbraio del 1945 si ritrovavano per spartire l’Europa del dopo Hitler, della Germania che ormai stava inesorabilmente perdendo la guerra. Grande emozione nel vedere la “sala bianca” col grande tavolo e le bandierine inglese, americana e sovietica che segnano i posti dove si sono seduti Churchill, Roosvelt e Stalin…me li vedevo lì, il “panzone” col sigaro in bocca, il vecchio con un piede già quasi nella fossa e il “baffone” col suo solito pastrano e il berretto in testa, così come nella storica foto appesa alla parete dietro quel tavolo. Qui si sono decise le sorti dell’Europa e la divisione ideologica del mondo post-nazismo.
Che effetto poi salire al secondo piano dove si trovano le stanze con i ricordi della famiglia imperiale dei Romanov e dello zar Nicola II, che qui trascorse solo poche estati, prima di essere arrestato e poi ucciso insieme alla famiglia dai bolscevichi. Grande lusso e splendore, ma anche ricordi di una vita “umana” di vacanza, quella che mostrano le foto dell’epoca della famiglia imperiale che si godeva il riposo del mare… una strana sensazione mi assaliva nel pensare che qui hanno vissuto prima lo zar e la sua famiglia e poco dopo il suo carnefice…


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Palazzo Livadia


Ma l’impatto più suggestivo delle escursioni nella zona di Yalta viene dalla visione del cd. Ласточкино Гнездо (Lastochkino Gnezdo – Nido di Rondine): un piccolissimo castelletto fiabesco posto sul cucuzzolo di un faraglione a picco sul mare. Non vi è nulla di storico in questo edificio costruito nel 1912 da un barone tedesco per la sua amante, per di più che all’interno ci hanno addirittura fatto un ristorante italiano!! Ma l’effetto scenografico è notevole, soprattutto se si arriva – come ho fatto io – dal mare e lo si coglie dal basso, dalla barca. Una volta scesi al molo sotto il castello, ci si inerpica a piedi su delle ripide scale e si arriva al castello.


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Nido di Rondine


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faraglione



Vale la pena visitare anche e il Воронцовский Дворец (Vorontsovskij Dvorets, che si trova ad Alupka, 15 kilometri da Yalta) e il Массандровский Дворец (Massandrovskij Dvorets, a Massandra, poco fuori Yalta). Il primo è un bellissimo palazzo dell’ottocento costruito per il conte Vorontsov, in stile alnglosassone all’interno e all’esterno bizzarra combinazione di stile arabeggiante da un lato e scozzese dall’altro. All’interno anche qui colpiscono la maestosità delle sale e delle pitture alle pareti; ma l’aspetto più piacevole anche in questo caso è il giardino che circonda l’edificio, pieno di una varietà incredibile di piante e di siepi e la bellissima vista sul Mar Nero.


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Vorontsovski Dvorets



Il Palazzo Massandra non sono riuscito a visitarlo all’interno, perché già chiuso quando sono arrivato, ma è un edificio carino, non grande, situatо sulla collina a pochi kilometri dal centro di Yalta, in mezzo al verde, tanto per csambiare! Qui ci veniva Stalin a passare le estati, e prima, ai tempi degli zar, da Alessandro III a Nicola II, era usata come residenza estiva e punto di partenza per le battute di caccia nei boschi circostanti.


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Massandrovskij Dvorets



Vicino al Palazzo, nel centro del microscopico paesino di Massandra, si trova la fabbrica del vino Massandra, qui si possono degustare i vari tipi di vino. Io ovviamente non potevo mancare la degustazione…siamo lontani anni luce dalla nostra cara Italia, soprattutto dalle mie papille gustative che sono state educate sin da piccolo ai vini secchi, fermi e dal colore rosso rubino; però devo ammettere che anche questi vini dolci, intensi e pastosi sono di qualità e validi, ma se ingeriti in piccole dosi! Dei 10 vini assaggiati, 6 o 7 li ho trovati praticamente identici. Potrebbero essere paragonati ai nostri Moscato o Zibibbo siciliani, ma ancora più dolci!


degustazione



Infine un altro piccolo aneddoto realtivo alla cucina. Proveniente da Kiev tra le cose che più desideravo provare arrivando in Crimea c’era il pesce del Mar Nero; mi aspettavo una grande varietà di prodotti di mare e di pesci, mi immaginavo chioschetti che proponevano shashlyk di pesce alla griglia, antipasti di mare al limone…ahimè anche in questo caso l’Italia è lontana anni luce! Cosa mi trovo in risposta? Carne di montone e zuppette tartare!! Eh sì, perché la Crimea è terra tartara (Batir qui ci sono i tuoi parenti, ehehehe…i Tartari della Crimea!) e come si sa i Tartari sono musulmani e la loro cucina non prevede il maiale bensì carne di pollo e montone. Insomma in riva al mare si mangia shashlyk di montone…che tristezza! Ma con accanimento e testardaggine sono comunque riuscito a soddisfare la mia curiosità – pagandola con lauta ricompensa (ristorantino carissimo!) – e a provare, almeno una sera, una grigliata mista di pesce. Tra i vari tipi di pesce assaggiati sono riuscito a riconscere solo le triglie (qui chiamate barabulka – барабулка); degli altri pescetti ricordo i nomi, ma non ho trovato la traduzione in italiano. Chissà, magari Ludamila o Irina mi possono aiutare a tradurli. Si tratta di sargan (сарган), pelengas (пеленгас) e gorbyl (горбыл). Piatto invece molto comune e veramente delizioso, come antipasto, sono i rapany (рапаны), una specie di mollusco che vagamente ricorda la lumaca.


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Ultimissima nota – dettaglio più che altro per chi vive in Ucraina che ha possibilità di confronto – riguarda i prezzi: Yalta è cara. Ma è cara quanto Kiev. E la qaulità del servzio in generale non corrisponde del tutto ai prezzi che si pagano per averlo. Io ho alloggiato in un appartamento monolocale vicinissimo al lungomare e ho pagato 400 grn. a notte (poco meno di 40 euro), ma ne valeva meno di 20… le escursioni e le entrate ai musei sono sempre intorno ai 20-40 grn. (da 2 a 3 euro); per mangiare bene si sta intorno ai 250 grn a testa (circa 23 euro). Adesso non è ancora alta stagione; da giugno a settembre i prezzi sono più cari.


Un abbraccio al Forum,

Gringox


gringox [ 20 Giugno 2011, 14:46 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 16 giugno 2011.


La “mia” Ucraina non finisce mai di stupirmi! Sono reduce da un finesettimana “esplorativo” che mi ha catapultato in un ambiente naturale assolutamente intatto e incredibilmente puro, lasciandomi sensazioni e ricordi bellissimi e forti. Questa volta sono stato nella Bessarabia meridionale (Odesskaja oblast’) – Бессарабия (Одесская обл.) e precisamente nella Riserva naturale del delta del Danubio – Дунайский биосферный заповедник.

Arrivare a Vylkovo (Вилково) in macchina è un’impresa. Gli ultimi 55 km di strada, dopo la deviazione dalla “trassa” principale Odessa-Ismail, sono uno stillicidio di buche di varie dimensioni, di voragini spaccamacchine più o meno profonde che ti costringono ad andare a 30 km all’ora e non di più. Credo di intendermene abbastanza di strade ucraine (sono 6 anni che le bazzico per lavoro!), ma negli ultimi anni un tratto così devastato non ricordo di averlo più incontrato in altre zone del Paese! Ai lati della strada una campagna verde dove si alternano vigneti, frumento, granoturco, fagioli, girasoli e paludi con canneti. Pochissime zone abitate, se si escludono un paio di villaggetti semiabbandonati e un paio di stazioni di benzina fatiscenti. Dopo più di un’ora finalmente giungo a Vylkovo.


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La barchetta come mezzo di trasporto cittadino.


fiori

In alcuni canali si possono trovare questi bellissimi fiori acquatici.


Un paese di 10.000 anime, sull’estrema propaggine meridionale della Bessarabia ucraina, lungo la sponda sinistra del Danubio. Qui finisce la strada fatta di asfalto e cominciano i canali, chiamati da queste parti “jerik” (ерик). Sì, perché questo paese è noto – anche se, a dir la verità non sono poi molti quelli che lo sanno! – come la “Venezia d’Ucraina”. Certo è improponibile il paragone con la “vera” Venezia italica, l’unica, l’ineguagliabile, l’aristocratica… questo è un normalissimo paese della campagna ucraina, se non fosse per la peculiarità dei canali che gli hanno appunto regalato quel soprannome. È forse l’odore, il colore verdognolo dell’acqua dei canali, le passerelle di legno e i ponticelli che collegano le case tra loro e più in generale la vita che si incentra sull’acqua, a ricordare vagamente la Serenissima.

Nel piccolo ma nuovo e carino hotel (non c’è manco l’ombra di un turista!) che non poteva altro che chiamarsi “Venetsja” riesco in qualche modo ad accordarmi per l’escursione sul Danubio, per il giorno seguente. Non voglio rivolgermi alle agenzie che propongono tour organizzati; preferisco gestirmela da solo, come piace a me… e così, chiedendo qua e là, arrivo a conoscere Gennadij, colui che ci guiderà sul fiume.


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Un brivido di gioia mi assale poco dopo che la stretta ed allungata barchetta di legno (che qui chiamano “chajka” – чайка – “gabbiano”) salpa dal piccolo pontile della casa di Gennadij mentre le braccia si alzano per salutare la moglie e la figlioletta che rimangono in casa; gesti che si ripetono ogni volta che qualche turista curioso si rivolge a lui per l’escursione.
La brezza accarezza i capelli e il sole inizia a farsi sentire, mentre imbocchiamo il canale che ci conduce al Danubio.


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Sono nel delta del Danubio! Mentre navighiamo vedo l’altra sponda verde, che pare disabitata, quella rumena, e una nave mercantile dirigersi verso nord, e la mia mente inizia a navigare pure lei, a ritroso, risalendo queste acque e rivedendo le grandi città che sono bagnate da questo meraviglioso ed imponente fiume che attraversa mezza Europa dell’est: Vienna, Budapest, Belgrado…città che io conosco e sui quali ponti ho camminato, ammirando dall’alto questo fiume. Un fiume lungo ben 2900 km di lunghezza che dalla Foresta Nera tedesca scende fino a qui attraversando ben 9 stati europei (Germania, Austria, Slovacchia, Croazia, Serbia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Ucraina). Ed ora sono qui, alla sua foce, e sto per gettami nel Mar Nero insieme a queste acque, per una volta nella vita! E sale l’emozione…


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Lasciamo il ramo principale e viriamo a sinistra, imboccando un canale abbastanza largo, ai lati vedo casette in muratura e legno, ognuna che dà sulla sponda e col proprio piccolo pontile di legno sgangherato. Intorno a queste casette segni di vita confermano che esse sono abitate, si intravedono degli orti, delle gallinelle scorrazzare su e giù, ogni tanto si sente qualche cane abbaiare e poi tante piante da frutto, soprattutto ciliegi e piccoli appezzamenti di viti. Gennadij ci dice che questa gente vive in modo praticamente primitivo: senza energia elettrica né acqua potabile, né fognature. Ed in effetti noto che mancano sia i tralicci dell’elettricità, sia condutture e tubature per gas o acqua. Incredibile! Tra l’altro qui praticamente non funzionano neanche i cellulari; ogni tanto c’è rete e ogni tanto scompare: quei furbacchioni di rumeni – racconta Genna – riescono ad inserirsi nella rete ucraina e parlare gratis! Rimangono qui gli anziani, mentre i giovani di queste famiglie se ne vanno sulla terra ferma, a Odessa, a Kiev o in altre città per studiare e per cercare fortuna.


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Gabbia per seccare il pesce.


Ad un certo punto accostiamo presso una di queste case, si avvicina a noi un uomo dall’età imprecisata, sembra giovane, ma allo stesso tempo porta malissimo la sua età, con quattro denti d’oro in bocca e vestiti strappati addosso, ma simpatico e socievole. Scendiamo dalla barchetta, gli consegnamo un sacchettino di cibaria (del pane, latte e qualcos’altro), scambiamo due chiacchiere con lui, io faccio un paio di fotografie e poi ci rimettiamo in moto verso sud. È un pescatore, ha la casa anche in paese, a Vylkovo, ma vive per lo più qui sell’isola dove si dedica alla pesca e agli orti.


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Sulle staccionate intorno alle casette spesso è appeso il cartello “vino” (вино): chi abita questa casa produce vino e lo vende. E Gennadij simpaticamente scherza dicendo che quella scritta “в.и.н.о” (vino) è una parola in codice; essa in realtà ci indica: “вот и наша остановка!” (“ecco la nostra fermata!”); oppure, leggendo la parola al contrario, ovvero “онив”, si tratta di un invito gentile da parte del padrone di casa a fermarsi per bere un bicchiere di vino: “остановись несчастный и выпей!” (“fermati, sfortunato, e bevi!”).
Chiedo a Gennadij se sia possibile trascorrere qualche giorno su una di queste isole nel totale distacco dalla civiltà; mi risponde che basta accordarsi in anticipo e lui può trovare una sistemazione. Ad organizzarsi per tempo poi è possibile mettersi d’accordo coi pescatori e farsi preparare una grigliata di pesce fresco con tutte le varietà di pesce che qui si pescano e degustare un tipo di uhà (уха) che si prepara con i pesci della zona, che è diversa dalla zuppa di pesce classica che si conosce in Russia. Sarà per la prossima volta sicuramente…

Da Vylkovo al c.d. “km 0” (il punto finale in cui le acque del Danubio si mischiano con quelle del mare), ci sono ben 18 km di navigazione. Ad un certo punto la vegetazione improvvisamente cambia.


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Ci lasciamo alle spalle gli isolotti con le casette e la vegetazione varia e folta, e si apre l’immenso canneto a perdita d’occhio. Stiamo entrando nel vero e proprio parco naturale del delta del Danubio (Дунайский биосферный заповедник). Sopra le nostre teste uccelli bianchi e neri volteggiano nel cielo azzurro e intanto sono sempre più preso a darmi sberle su tutto il corpo per scacciare quei fastidiosissimi e perniciosi mosconi che punzecchiano la mia pelle! Ma non mi rimetto la maglietta, mi voglio godere la brezza e il sole più che posso, anche sopportando quegli insetti malefici…

Mentre navighiamo Genna, come un fiume in piena, racconta curiosità e aneddoti, insomma di tutto e di più su questa parte di Ucraina. Parla di Vylkovo, dice che in tutto il paese ci sono solo 300 macchine (anche se a me è parso che ce ne fossero ancora meno) e 3000 barchette poiché la gente preferisce utilizzare questo mezzo di trasporto, più consono alla realtà locale rispetto alla macchina. E ci sono famiglie che hanno anche più di una “chajka”! Parla del “melting pot” di gruppi etnici che vivono qui: la stragrande maggioranza della popolazione è russa, poi ci sono ucraini, bulgari, qualche rumeno; ma i gruppi più particolari sono i Gaugazi e i Lipovani (Липованы). I primi sono turchi cristianizzati ortodossi, di origini bulgare che finirono in Bessarabia quando la Russia sconfisse la Turchia nella guerra russo-turca del 1806-1812; questi parlano una lingua strana, un misto di turco e russo, e vivono soprattutto in Moldavia (appunto nella loro piccola repubblica autonoma di Gaugazia), ma parecchie unità si trovano anche a Vylkovo e in Bessarabia.


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Antiche icone lipovane su un’isola del delta del Danubio.


I Lipovani, i “vecchi credenti” ortodossi (старообрядцы), coloro che si fanno il segno della croce con due dita (e non con tre come gli ortodossi “classici”) perché – dicono – Gesù impartiva la sua benedizione con due dita; perseguitati da Pietro il Grande per non essersi adattati alle riforme religiose del XVIII sec., furono esiliati da queste parti lungo il Danubio e da allora vivono qui. La chiesetta di San Nicola a Vylkovo è una chiesa lipovana. La Bessarabia meridionale in effetti fu terra dell’Impero Ottomano, e poi di quello russo, fino ad essere inclusa nella Romania nel periodo tra le due guerre mondiali e poi finire nell’Urss ed ora nell’Ucraina; ed ecco che si spiega questo miscuglio di etnie. È curioso come ancora oggi siano rimasti al di là del fiume, in terra oggi rumena, tre villaggetti russi, dove la gente tuttora parla in russo…

Gennadij poi racconta della sua vita che, a parte una parentesi di lavoro dai parenti a Krasnoyarsk, è sempre stata legata a questo angolo di mondo.
Parla della flora e della fauna che abitano questa terra… insomma questa è la patria per pescatori, ornitologi, naturalisti. Ci sono talmente tanti tipi di pesci e uccelli e piante che manco lui sa chiamarli tutti per nome. Tra le piante che riconosco vedo i salici e i pioppi. Racconta a questo proposito di un aneddoto risalente a qualche tempo fa, quando chissà come e da dove siano spuntati, in questi canali del delta sono stati pescati degli storioni (beluga e sevruga) tipici pesci del Mar Caspio e ci hanno pure ricavato del prezioso caviale nero. Altri pesci che si trovano in abbondanti quantità sono i carassi, le carpe, le anguille, i pesci gatto, la “mitica” aringa del Danubio (дунайская селедка).


uccelli


La specie di uccelli più famosa che si può incontrare sono i pellicani bianchi; anzi si dice che qui viva la più grande comunità di pellicani del mondo in pianta stabile. Occorre un pò di fortuna per vederli da vicino, io sono riuscito a scorgerli in lontananza, intravedendo i loro becconi gialli; più semplice invece incontrare e sentirne il cacofonico starnazzare cigni, sterne, cormorani, oche ed anatre selvatiche e quei grossi uccelli neri di cui ho già scordato il nome, che possono gettarsi in acqua per cacciare le prede e restare sott’acqua anche fino a 40 secondi. Oltre ovviamente a gabbiani e avvoltoi.


km_0


io_e_km_0


cartello_riserva_naturale


Eccoci al “Km 0”: una grande emozione toccare con mano questo curioso monumento, tanto per cambiare di eredità sovietica, che segna il momento in cui le acque del Danubio, dopo ben 2900 km entrano e si confondono con quelle del Mar Nero. Giusto per togliermi la soddisfazione di averlo fatto al “Km 0”, approfittando del caldo, mi butto in acqua e mi faccio un bel bagno: l’acqua in questo punto non è né completamente dolce né ancora salata.

Rientrati a casa, non ci lasciamo ancora con Gennadi. Non si può rifiutare l’invito a degustare un pò di suo fresco vino rosso. Bere il vino da queste parti può essere un’esperienza pericolosa. Si tratta di un vino fresco, giovane, secco (non dolciastro come quello della Crimea), dal colore rosso rubino, morbido e dal leggero retrogusto di fragola, poiché l’uva ricorda un pò la nostra uva fragola. Insomma un vino che apparentemente ha la gradazione del nostro novello (12° circa). Giusto per la cronaca qui lo chiamano novak (новак, новочек) e lo producono per sé praticamente tutte le famiglie. Per l’uso quotidiano lo conservano in secchi e lo versano nel bicchiere con un mestolo. Il bicchiere – che poi è il bicchiere per l’acqua e non il calice per il vino – te lo riempiono fino all’orlo; poi si beve a sorsi grossi, quasi come se si stesse bevendo acqua o un succo, e in breve zacchete, ti sei già scolato il primo bicchiere, quasi senza accorgerti. Ovviamente si prosegue, ti versano il secondo, poi il terzo… questa usanza mi ricorda tra l’altro il Caucaso, la Georgia in particolare, anche lì bevevano il vino come se fosse acqua. Il risultato: in pochi minuti la testa inizia a girare, anzi, come dicono da queste parti, la testa continua a pensare e a ragionare, ma le gambe pian piano diventano pesanti fino a non riuscire a muoversi, a camminare (голова соображает а ноги не ходят…). Poi come d’incanto, dopo un paio d’ore, la sbornia passa e resta il bel ricordo della simpatica bevuta in compagnia. Sarà forse l’aria del Danubio, ma giuro che capita proprio così!

Finisce così un’altra mitica avventura del Gringox d’Ucraina! Prima di salutarci con Gennadij e con la sua famiglia (e di saldargli il conto di ben 850 grn. per l’escursione, che tra tutto è durata quasi una giornata intera!), gli compro una bottiglia di quell’ottimo “novak”, così che una volta rientrato a Kiev, degustandolo, possa ricordarmi di lui e di questo angolo di paradiso, dove sono sicuro di tornare ancora…


Gringox


gringox [ 31 Agosto 2011, 16:22 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Vacanza di Crimea – agosto 2011.


Новый Свет (Новий Світ) – Novij Svet (Nuovo Mondo).

Che la Crimea fosse una terra stupenda me ne sono già accorto nella mia prima sortita a Yalta, in aprile di quest’anno. Abituato come sono all’ovest Ucraina, alla sua inconfondibile identità nazionale e ucrainicità profonda, in Crimea vengo catapultato nell’altra direzione. Qui tutto sa di Russia, a cominciare dalla lingua parlata dalla gente locale (tatari e russi) e dai turisti, praticamente tutti russi, fino a quelle piccole situazioni che tendono a rimarcare un senso di appartenenza radicato che la gente non ha alcuna intenzione di tranciare (bandierine russe sui cruscotti delle macchine, insegne scritte in russo, bandiere russe sventolanti fuori dai locali, macchine dei vacanzieri in maggioranza targate RUS, cucina per lo più legata alla tradizione russo-tatara e dell’Asia Centrale).

Ma Novij Svet non è Yalta. Là lo struscio, l’apparenza, il desiderio di farsi notare, le discoteche, la gioventù rampante e i figli degli oligarchi, le boutique, gli yacht, gli hotel di lusso; qui la pace, la tranquillità, la gente che a torso nudo e in ciabatte si cucina shashlyk a casa e trascorre il periodo di vacanza facendo una vita spiaggia-casa-spiaggia, senza darsi ai divertimenti notturni vari, che qui tra l’altro mancano; dunque tante famigliole con bambini e pochi sbarbati in cerca di avventure estive…


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Il monte Orel.


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Il monte Sokol.


Novij Svet non è altro che una piccola baia dominata ai lati dal monte Koba-Kaja (che in lingua tatara significa “orel” - aquila) e dal monte Sokol alto 472 m.; due panettoni rocciosi dalle forme vagamente richiamanti quei rapaci di cui portano il nome (aquila e falco). Il paesino si estende a semicerchio tra questi due monti, lungo il pendio dolce nell’inclinazione, ma aspro nella vegetazione, ricoperto di boschetti radi di pini marittimi, ginepri, pistacchi, mirti e altre varietà di cui ignoro il nome; visto dal mare appare come un tappeto ondulato e irregolare dove il verde degli alberelli si alterna al color paglia giallastro della terra secca per culminare ai lati nel grigio della roccia che potrebbe essere tranquillamente di tipo dolomitico. Dove le montagne si gettano nell’acqua diversi dirupi a picco sul mare e calette deliziano la vista di chi le osserva.
Da “vecchio” scalatore non nascondo la tentazione di potermi cimentare in qualche intrigante arrampicata, ma ahimè non ho più né l’allenamento né la dimestichezza di una volta e il “peso” degli anni e della pancetta si sente già da tempo.

Il paesino di Novij Svet è minuscolo: un paio di filari di grigi “pjatietazhki”, orribili come al solito, con tanto di facciate scorniciate e di panni appesi alle finestre da una parte; un alto hotel – pure in stile soviet – con l’immancabile forma quadrata e di colore bianco dall’altra, e in mezzo ad essi una miriade di casette sparpagliate nel bosco senza ordine, alcune sopraelevate, di diversa fattura; alcune di legno, altre di mattoni, altre ancora di lamiera che sembrano baracche, collegate tra loro da sentierini mezzi asfaltati e mezzi sterrati, sconnessi e pieni di buche, che se non si sta attenti a come si cammina, si rischia di prendere una storta. Ma è davvero pittoresco! Molte di queste casette hanno un piccolo appezzamento di terreno intorno che viene addobato con fiori variopinti, talvolta con piccoli orti, e tutte con la cisterna sopraelevata e arrugginita per l’acqua.
Ogni tanto, mentre si passeggia nel parchetto respirando il profumo dei pini marittimi, si può scorgere un’orribile serpentina di tubi gialli sopraelevati, anch’essi mezzi arrugginiti, che a volte ti corrono ai lati, quasi nascosti tra gli alberi, altre volte ti passano sopra la testa a mò di ponte, e smistano il gas – credo – o l’acqua, per tutto il paese. Eredità del tempo soivietico in cui si usava esporre le tubature all’esterno, per comodità nel caso di riparazione di qualche guasto.

Infine la nota dolente della spazzatura: pochi cestini, sempre pieni zeppi; di tanto in tanto, mentre si passeggia, qualche folata puzzolente annuncia che si sta passando vicino ad un container di ferro aperto con la scritta “musor” in vernice, dove vengono gettati i sacchi delle immondizie. E non è difficile, ahimè, trovare sul proprio passo sporcizia di vario genere abbandonata così, all’aria aperta, soprattutto bottiglie di plastica.

La sera il buio totale. Solo nella centrale ul. Golitsyna qualche lampione illumina con luce flebile la strada; ma dal lungomare risalendo verso le proprie abitazioni non c’è assolutamente illuminazione se non quella proveniente dalla luna e del cielo stellato…sempre bello il cielo di notte al mare, con il carro maggiore che si staglia limpido e maestoso…


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La casetta della vacanza.


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Il sentierino che conduce alla casetta.


La casetta dove alloggio è una sistemazione niente male. Di due piani, io sto al piano superiore. Una soluzione non molto economica (560 grn. al giorno, ma la Crimea in generale è cara!), ma in circa 40 m2 c’è tutto ciò che serve per una vacanza al mare; fatta in legno e carina esteticamente: una semplice cameretta con un lettone comodo, un degno bagno spazioso, con doccia e acqua calda sempre (questo particolare non è da poco, perché non in tutti gli appartamenti qui c’è sempre l’acqua calda) e un largo balcone che fa anche da cucinotto, con stufetta a gas e frigorifero, chiuso ai lati da sottili pareti di legno forate sulle quali si avvinghiano piante rampicanti, che danno l’idea di essere all’interno di una veranda, lasciano filtrare la luce del sole, evitano che il locale si riempia di mosche e zanzare e consentono di intravvedere il mare poco più giù.
Ovviamente qui è tutto incendiabile e misure antincendio non esistono…

Queste casette, come tutte le altre intorno, sono per lo più su due piani, immerse nel verde e collegate tra loro da sentierini in cemento; alcune hanno un giardinetto privato, altre no; praticamente fuori da tutti gli usci si trova un “mangal” perché qui la gente in vacanza ama prepararsi succulenti shashlyk e gustarseli in casa.

Si tratta di casette per le vacanze, credo che d’inverno esse siano praticamente disabitate, infatti non vedo impianti di riscaldamento. Molto spesso si incontrano cartelli appesi alle pareti con la scritta “zdaetsja zhilje” (здается жилье) e col numero di cellulare, significa che sono libere al momento. In effetti non c’è questo gran pienone di turisti.


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Le baracche vicino alla spiaggia.


In ogni caso a me è andata meglio di altri! Scendendo verso la spiaggia si vedono diverse baracche di lamiera – perché non si può far altro che chiamarle col proprio nome “baracche”, dove la gente alloggia tranquilla e trascorre la propria vacanza! Non immagino il caldo che si respira la dentro…


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La spiaggetta e sullo sfondo il monte Sokol.


La spiaggetta è corta, libera diremmo noi (cioè gratuita) e gremita di gente; pochi ombrelloni aperti e poche sdraio – queste sì sono a pagamento (40 grn./giorno). Arrivare verso le 10.30 – 11.00 di mattina significa non trovare un buco libero dove stendere il proprio asciugamano, e dover percorrerla su e giù un paio di volte almeno prima di rassegnarsi ad una sistemazione stretta, praticamente appiccicato a qualche vacanziero già svaccato da tempo sotto il sole. Quella stessa gente che arriva presto la mattina ad occupare il posto sulla spiaggia è la stessa che poi, verso sera, ordinatamente sta in fila ad aspettare la marshrutka che la riporta a Sudak o a Feodosja; dopo un paio di giorni capisco il sistema: questi turisti (poco) furbi vengono da altri paesi della zona costiera per trascorrere qui la giornata, perché il posto è più bello, e la sera se ne tornano da dove sono venuti. Dovreste vedere che file per attendere la marshrutka…roba da pazzi, anche in vacanza! E la sera il paesino di Novij Svet si svuota e sul lungomare poca gente passeggia.

La sabbia non è proprio finissima, ghiaietta e sassi più grossi rendono il camminare sulla spiaggia non tanto piacevole per i piedi, oltre al fatto dello zigzagare tra le persone sdraiate.
La ricerca del posto dove piazzarsi deve essere accurata, da evitare assolutamente di posizionarsi vicino al tipo che bofonchia col megafono ogni 4 minuti, con voce pastosa e sbiascicata, interrompendo la placida quiete nella quale si vorrebbe riposare, che invita i bagnanti a provare le attrazioni locali: il “bananchik” e la “shajba” (шайба – il “dischetto” dell’hockey su ghiaccio). Il primo è una specie di gommone giallo, a forma appunto di banana, dove otto persone, quattro su un bordo, e quattra sull’altro, dopo essersi seduti a cavalcioni vengono trascinati dal motoscafo al quale il gommone è legato da una corda, che a tutta velocità si proeitta in mare aperto facendo virate e giri bizzarri, provocando urla di divertimento da parte dei fortunati che si vedono saltare su e giù per le onde. La “shajba” o “dischetto”, si basa sullo stesso principio del “bananchik”, solo che invece di ospitare più persone, si tratta di un gommone rotondo a due posti, e qui l’emozione è garantita. Ti senti “bistrattato” e scaraventato a forte velocità sull’acqua da una parte e dall’altra, col gommoncino che schizza sull’acqua, salta, si piega, rotea, e tu devi tenerti forte alla maniglia sui lati per mantenere l’equilibrio ed evitare di ribaltarti in mare. Roba un po’ da luna park, ma, dopo averlo provato, confermo che è assai divertente.
Tra le altre cose, anche qui come in Italia ci sono i pattini (pedalò o mosconi, come la gente li chiama da noi). Credo che questi abbiano almeno 30 anni, a giudicare dal loro aspetto; eppure son lì e la gente li noleggia più che volentieri. A fianco del pattino retrò, si trovano le moderne e tecnologiche moto d’acqua Yamaha, che ogni tanto si notano sfrecciare nel mare.


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Ad un’estremità della spiaggia c’è il pontile dove sono ormeggiati diversi motoscafini: qui ci si può mettere d’accordo per fare escursioni marittime lungo la costa.

Se durante il riposo in spiaggia, tra un bagno in mare e una dormitina sotto il sole caldo, ma non concente, si percepiscono gli stimoli della fame c’è solo l’imbarazzo della scelta. A poterli soddisfare giungono con quasi regolare frequenza, preannunciati da voci cantilenanti, ma mai invasive, vari tipi di aperitivi: “svezhaja rybka, vjalenaja, kopchenaja rybochka” (“pesce fresco, secco, affumicato pesciolinooo”), “kukuruza varennaja” (“pannocchia bollita”), “krevetki, midii, rapany” (“gamberetti, cozze, rapany”), “malinka vitaminka, ezhevika lesnaja” (“lampone vitamina, mora di bosco”), “blinchiki s mjasom”. Nei miei ricordi d’infanzia e di adolescenza delle spiagge riminesi dove per anni trascorrevo tutto il mese di luglio, c’era il negretto di turno che girava col cocco o con souvenir vari e che in modo insistente e stressante cercava di propinarti la sua merce facendo il simpatico…qui sono volenterosi ragazzetti locali, o “babushki” che per arrotondare la misera pensione preparano a casa queste pietanze e poi le offrono in spiaggia ai bagnanti. Certo la visione di quei pescetti affumicati, striminziti e penzolanti, potrebbe far andar via l’appetito a qualcuno, ma con una fresca birra si gustano che è una meraviglia!

Un’ultima annotazione a proposito della spiaggia: non si vedono guardie costiere o bagnini da nessuna parte.


Il piccolo lungomare ha un che di retrò e la cosa lo rende più “vero” e divertente, e un po’ kitch. Se la spiaggia è al livello del mare, il lungomare corre parallelo ad essa, ma al piano superiore. Lungo tutta la spiaggia, in diversi punti, alcune sgangherate scalette a volte metalliche in altri casi di cemento, conducono al livello del lungomare. Aiuole ben curate con fiori colorati abbelliscono l’ambiente tutt’intorno. Passeggiando su e giù per il lungomare si incontrano diversi locali, carini, dove si può mangiare shashlyk o bere una birretta.


aptechnij_kiosk
Aptechnij kijosk.


Chioschetti ovunque, alcuni propongono souvenir vari o abbigliamento e accessori da mare e da spiaggia, altri sono residuati soviet come l’ “aptechnij kiosk” o la bancarella che vende birra alla spina e “limonad” di marca “Krym”. Noto che va moltissimo il kebab. Ma se si ha intenzione di consumare un più degno pasto, si può provare in uno dei tanti ristorantini sistemati lungo la strada, alcuni sporgenti verso il mare e poggianti su colonne a mò di palafitta, altri orientati a monte.


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Al ristorantino Paradiz, sorseggiando dell’ottimo vino bianco “Meganom”, io…


pesciolina
…e la “pesciolina”.


Io mi sono trovato bene al “Paradiz”, e come mio solito, se mi trovo bene in un posto, difficilmente lo cambio. E così qusto Paradiz è stato il ristorantino della vacanza dove mi sono tolto tutti gli sfizi e le mie curiosità enogastronomiche.


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Samsa “incollate” sulle pareti interne del tandyr (stufa) mentre si cuocciono.


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Uhà – la zuppa di pesce.


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Chernomorskaja kefal’.


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Il mio piatto preferito: l’antipasto di rapany con cipolline e pomodorini soffritti.


Dalla samsa il cui impressionante modo di cottura cattura la mia attenzione (самса – specie di panino ripieno con carne trita di montone e cipolla, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), all’uhà (уха) con vari tipi di pesce; dalla shurpa (шурпа – zuppa con carne di montone) al shahlyk di “baraninoe mjaso”; dalla lipjeshka ustionante in puro stile uzbeko (лепешка – pane rotondo cotto nel tandyr, una specie di forno a legna, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), ai chebureki ripieni di carne, al shashlyk di pesce di “chernomorskaja kefal’” (черноморская кефаль)…ma il piatto che non manca mai è l’antipastino di rapany (рапаны) con cipolline e pomodorini soffritti.
Ovviamente mi dò alla degustazione ogni volta di un vino diverso, poiché la Crimea, e in particolare questa zona, è rinomata per una produzione interessante sia di shampanskoe, ma anche di vini secchi bianchi e rossi; qui è famoso il bianco Meganom della “Solnichnaja dolina” (Меганом – Солнычная долина), che ricorda molto il pinot chardonnay.

Il lungomare e la spiaggia sono nel complesso puliti, anche se i cestini sono sempre zeppi di spazzatura.


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Il sentiero Golitsyn.


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Il sentiero Golitsyn visto dalla baia blu sovrastata dal monte Orel e sullo sfondo, in lontananza, il promontorio Meganom (che dà il nome al vino di cui ho parlato).


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Il sentiero costiero ideato e realizzato dal conte Golitsyn nel XIX sec (Голицынская тропа) è un’esperienza che non lascia indifferenti, e per le visioni di paesaggi mozzafiato e per il fiatone che ti porti a dietro per tutti i 2,5 km del percorso su e giù per le rocce a picco sul mare. Fa parte della piccola riserva naturale di Novij Svet e inizia poco sopra il lungomare, alle pendici del monte Orel, inerpicandosi prima a picco sul mare, poi pian piano aggirando il monte Orel, per finire nuovamente in paese, ma nella parte superiore, vicino al mercato.


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La baia blu (sinjaja buhta).


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La vista della “spiaggia dello zar” (tsarskij pljazh) dal sentiero Golitsyn. La spiaggia è chiusa ai bagnanti affinchè si conservi pulita…così mi pare di aver capito!


Nella prima parte si passa dalla veduta della baia verde (зеленая бухта), a quella della baia blu (синяя бухта), fino alla meravigliosa “tsarskij pljazh”, tra calette, spuntoni, rocce emergenti dal mare e formanti piccoli isolotti e passaggi stretti e scivolosi a strapiombo sul mare. In questa prima parte c’è una componente di pericolo non indifferente a causa del terreno ghiaioso, sconnesso e non sempre protetto del sentierino che, a tratti, è a picco sul mare.
Nella seconda parte del percorso si cammina nella “mozzhevelovaja rosha” (можжевеловая роща), il boschetto di ginepri, dove si incontrano alberi di vario tipo e si mischiano i profumi di resina, di erba secca, e di mirto. Sì, perché con mia grande sorpresa riconosco tra queste piante il mirto, ed i rametti con le bacche blu scure e profumate mi riportano alla mente l’etichetta dello “Zedda Piras”; ed io che pensavo crescesse solo in Sardegna…ahh, se qui la gente sapesse che ottimo digestivo si potrebbe ricavare dalla lavorazione di queste bacche!

Ad un certo punto, quando il mare ormai sparisce dietro il bosco che diventa sempre più fitto, girando lo sguardo verso destra ci si trova alle pendici del monte Orel e da qui si dirama una specie di sentierino che si inerpica verso la montagna. Questa volta il pensiero del “vecchio” Gringox alpinista si fa sempre più penetrante e la curiosità e la voglia di sfida prendono il sopravvento. Obiettivo: vetta del monte Orel! L’ascesa è ripida e ansimo pesantemente ma non mollo. Il livello di difficoltà è tra il facile e il medio-facile, nulla di impossibile; ogni tanto faccio uso delle mani, ma per lo più bastano le gambe. Man mano che salgo si fa più rada la vegetazione e la roccia prende il sopravvento.


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Il Gringox in cima al monte Orel.


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La vista della baia e sullo sfondo il paese di Sudak (che dista 7 km. da Novij Svet).


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Le rocce a strapiombo sulla baia blu.


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Novij Svet dall’alto.


In poco meno di mezz’ora raggiungo il crinale della cima: qui un gruppetto di ragazzotti con delle guide fotografa a più non posso tutt’intorno. E ne hanno ben d’onde! Il paesaggio da quassù è mozzafiato e un accenno di vertigine mi assale. Si vede tutto a 360°: il paese di Novij Svet, più in là il paesone di Sudak, sotto di me la baia blu e il mare aperto, poi la “tsarskij pljazh”, e infine il pendio che domina Novij Svet con la sua boscaglia. Mi siedo una decina di minuti, riprendo il fiato e scatto qualche foto. In breve poi, saltellando nel mio vecchio stile di “cavallo pazzo”, tra una roccia e l’altra, mi ritrovo a valle e riprendo il sentiero Golitsyn che mi riporta in paese. Da qui, attraverso il piccolo mercato, rientro a casa.


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L’ingresso della fabbrica dello “shampanskoe” Novij Svet.


Novij Svet: lo “shampanskoe”. In passato tra le mie bevute nelle terre russe ricordo di avere già avuto l’onore di bere uno champagne etichettato “Novij Svet”, ma prima d’ora non avevo mai riposto grande attenzione alla provenienza di tale prodotto. Tra l’altro non ricordo neppure se lo avessi o meno apprezzato. Una cosa è certa: qui a Novij Svet esso non passa inosservato! Tutto fa parlare di questa marca antica di shampanskoe, e del suo fondatore, quel conte Golitsyn del sentiero, che iniziò l’attività produttiva nel lontano 1878: c’è la piccola fabbrichetta che funziona ancora col metodo tradizionale, c’è il carinissimo museo dello Shampanskoe, con foto d’epoca, colezione di bottiglie e una cantina spettacolare dove si può partecipare ad una vera e propria degustazione di 6 diversi tipi di champagne; ai “firmennie magaziny” sparsi per il paesello dove non solo si possono acquistare le bottiglie, ma lo servono pure alla spina, in quantità varia, così che poi lo si possa portare in spiaggia e degustare tra un bagno e l’altro. Non è uno scherzo, vedo coi miei occhi tanta gente bere allegramente shampanskoe in spiaggia come fosse acqua o te freddo o birra…


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“shampanskoe” polusuhoe krasnoe (champagne semidolce rosso).


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La selezione di bottiglie storiche Novij Svet.


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La pittoresca degustazione, all’interno del “podval” del museo, con tanto di stacchetti musicali a suon di violino tra un assaggio e l’altro.


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Che dire: ci sono delle varianti di brut extra dry, e di semi-secco, sia bianco che rosè, che sono eccezionali! Tra l’altro scopro una cosa curiosa: il mitico “Sovetskoe shampanskoe” che da Kaliningrad a Sakhalin, passando per Ucraina, Moldavia, Asia Centrale e Caucaso, si beve tuttora e trova grande riscontro di piacere soprattutto tra il gentil sesso russo, è stato in tempo sovietico prodotto in questa fabbrica. In seguito il marchio “sovetskoe shampanskoe” è stato applicato a produzioni di altre fabbriche sparse un po’ in tutti i Paesi dell’Unione e la qualità è andata sempre più peggiorando, tanto che si parla di “shampanskoe” fatto con la polverina.


Fortezza di Sudak (Судакская крепость – Генуэзкая крепость; fortezza genovese). Pochi forse si ricordano dai tempi della scuola in cui si studiava il buio medioevo, quando ancora l’Italia unita era assai lontana a divenirsi, che esistevano le potenti repubbliche marinare. Tra queste Venezia e Genova la facevano da padrone e si spartivano a fasi alterne la dominazione sui mari allora conosciuti e fondavano colonie commerciali, confrontandosi nel caso del Mar Nero, a volte alleandosi, altre volte scontrandosi coi Bizantini, coi Khan dell’Orda d’Oro fino ad essere totalmente eliminate dal gioco con l’avvento dei Turchi Ottomani negli anni 70 del XV sec.


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L’ingresso nella cittadella fortificata.


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Le mura che conducono in alto fino alla torre Dozorna.


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Oltre le mura, al di sotto, la baia di Sudak.


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Le mura lungo il crinale della montagna.


Non nascondo una vera emozione nel toccare le pietre del XIV sec., che hanno un sapore italiano, posate da quei nostri lontani antenati genovesi, giunti fino a qui, che fortificarono l’antica cittadella di Soldaia (oggi appunto Sudak) ed ersero la fortezza intorno al 1365, struttura che controllarono per poco più di un secolo. Mentre cammino all’interno della fortezza, le cui mura si sono conservate in un discreto stato, penso che qui sette secoli fa mercanti, navigatori, avventurieri e coloni conducevano una vita frenetica in un contesto multietnico variopinto: veneziani prima, genovesi poi, armeni, greci, ebrei, bulgari, tartari musulmani…ogni comunità aveva un suo luogo di culto e un piccolo quartiere a sé, e tutti vivevano insieme, ma isolati e parlavano diverse lingue, anche se quelle ufficiali restavano il latino, il greco e il tataro.


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L’ascesa verso la torre Dozorna.


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Il territorio della cittadella vista dall’alto. Le tende bianche sono quelle degli organizzatori del festival medievale.


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Oltre le mura, il dirupo a strapiombo sul mare.


Non è agevole né veloce l’arrampicata lungo il pendio scosceso che porta alla torre più alta (Дозорная башня – torre Dozorna), ma la soddisfazione è grande nel vedere il meraviglioso panorama da quassù. E ancora una volta torno a riflettere sulla caparbietà e l’abilità di quei genovesi che ebbero la forza di erigere una così imponente struttura. Il bello è che non esiste un unico percorso, tracciato, lungo il quale i visitatori dovrebbero attenersi per l’ascesa, bensì ognuno sale come gli pare ed è quindi curioso vedere miriadi di turisti che dappertutto avanzano verso la cima e la torre più alta in modo sparpagliato e disordinato.

Alla fortezza di Soldaia ha ancora più senso capitarci – come è avvenuto nel mio caso – in occasione del festival medievale che si svolge in diverse date durante tutto il periodo estivo. In sostanza si ha la possibilità di partecipare ad una manifestazione un po’ bizzarra in cui strani personaggi di diverse epoche storiche si incontrano: dai pirati, ai cavalieri medievali, ai mujaheddin con tanto di keffiah al collo (che non so come facciano a resistere sotto i 30° e il sole!) e con kalashnikov nelle braccia, ai caschi blu dell’ONU…e si ha la fortuna di essere spettatori di una riproduzione teatrale viva con tanto di battaglia tra cavalieri di opposte fazioni vestiti con armature, elmi, brandenti spade e scudi che si menano per davvero sollevando polveroni di terra durante i combattimenti; da una parte quelli che tentano di difendere delle mura di legno erette per l’occasione, che lanciano dardi veramente infuocati, e dall’altra coloro che cercano di sfondarle a suon di spallate! Ogni tanto vieni letteralmente scosso dai colpi a salve dei fucili sparati da uomini delle due fazioni, che ti frantumano le orecchie, ma che ti coinvolgono nel contesto e ti tengono appiccicato fino alla fine per vedere chi ne esce vinvitore.
Un’esperienza davvero intrigante!


La mia breve vacanza di Crimea giunge al termine. Soddisfatto per questi giorni sereni trascorsi completamente “alla russa”, riprendo il lavoro kievliano, ma con la consapevolezza che la scoperta della Crimea non si ferma; dopo Yalta, Novij Svet e Sudak altri angoli devono essere ancora esplorati…


Gringox


gringox [ 17 Febbraio 2012, 12:03 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
"Vid na zhitel’stvo”.

Oksana Petrovna mi chiama. È appena rientrata nel suo ufficio con in mano diversi plichi di documenti. Tra cui sicuramente il mio. “Sadites’, poluchajte!” Con voce sommessa che a malapena udisco, a testa bassa, mi invita a sedere, apre il mio “lichnoe delo”, cioè la “mia” cartelletta, che ormai riconosco da tempo dopo decine di visite da queste parti, ed estrae un cartoncino gialliccio, che sa già di vecchio, anche se è fresco fresco di emissione: il mio “vid na zhitel’stvo”; anzi, come si dice qui, “posvidka na postijne prozhivannja”! Insomma, il permesso di soggiorno! L’agognato e sudato permesso di soggiorno ucraino a tempo indeterminato! Senza altre parole, con fare meccanico e annoiato, mi fa firmare un ultimo documento, mi dice che entro 10 giorni devo recarmi al “Zhek” (sorta di amministrazione di quartiere) a far timbrare il permesso, affinchè esso sia completamente valido, poiché è il Zhek che verifica e conferma la mia registrazione nell’appartamento che si trova in Ul. Vassilkovskaja, 27 – korpus 1, kv 37.
Oksana Petrovna non alza nemmeno lo sguardo per salutarmi, quando esco dal suo ufficio; chissà quanti ne ha registrati di stranieri e quanti ne registrerà ancora; è la tipica donnona sovietica che svolge il suo lavoro burocratico quotidianamente, talvolta scorbutica, talvolta dolce, dove la dolcezza bisogna pure interpretarla e coglierla nell’abbozzo di sorriso; questo succede quando è di buon umore…Mi dà invece più soddisfazione Julia, la ragazzotta ricciolona e morettona, che più che ucraina sembra una calabresotta; ella mi ha seguito e aiutato decisamente con più pazienza e simpatia di Oksana Petrovna, nella lunga procedura in cui raccoglievo la documentazione necessaria per ottenere il permesso, cinque mesi or sono. “Pozdravljaju vas”, con un sorriso…e ci salutiamo. Chissà se le rivedrò ancora… Ah, se ripenso a quanti sbattimenti, a quanti “su e giù” per questo Ovir e diversi altri organi comunali, e poi l’attesa lunga ed estenuante con la preoccupazione che tutto vada per il meglio e che non mi chiamino un bel giorno per dirmi che a causa di qualche complicazione o di cambi di legge (qui ogni tanto cambiano le leggi che uno manco se ne accorge!) viene dichiarato il rifiuto alla concessione del mio permesso.

Mattina gelida oggi a Kiev (-16°), ma l’emozione del momento riscalda tutto il mio essere. Ammiro questo cartoncino giallo, tenendolo delicatamente in mano per paura di non spiegazzarlo; lo giro e lo rigiro: la mia foto a colori, come sempre venuta male, è l’unico aspetto di “modernità” che vivacizza il documento; se non fosse per quella, potrebbe tranquillamente trattarsi di un qualsiasi certificato del tempo sovietico, di un qualche modulo compilato, espressione della massiccia burocrazia cartacea che faceva parte di quella società. Lo Guardo e mi sforzo di comprendere quelle scritte in corsivo nero che riempiono il “foglietto”. Distinguo nettamente i miei dati personali, molto meno le informazioni scritte nell’altra metà; ma l’occhio riconosce subito la parolina magica: “bezstrokovo”, ossia “indeterminato”. Dentro di me una grande gioia e fierezza: finalmente divento a tutti gli effetti residente in Ucraina.
Tanti pensieri mi frullano in testa, primo tra tutti l’ironia del destino che vede me – cittadino di nazionalità italiana, con passaporto italiano – godere ed inorgoglirsi per aver ottenuto un permesso di soggiorno indeterminato ucraino; quando migliaia di Ucraini pagherebbero chissà cosa per avere la possibilità di regolarizzarsi in Italia, sbarazzandosi della propria ucrainicità di documenti. Sicuramente il loro stupore nel vedere il mio stupore darebbe loro motivo di considerarmi “ne normal’nij”! Ed io, con in mano questo permesso, mi immedesimo in quelli di loro che, uscendo da una qualsiasi Questura italiana, sventolano per la prima volta con soddisfazione il loro agognato permesso di soggiorno italiano. Può apparire esagerata la mia trepidazione, ma io so che è sensata, e so, perché lo vivo quotidianamente, che in un Paese ancora per certi versi legato al passato sovietico e molto burocratico, il “pezzo di carta” è cosa importante.
E poi ancora penso rapidissimamente ai miei quasi 7 anni di vita in Ucraina (6 anni e 10 mesi per l’esattezza, ad ora). Mamma mia, quanto tempo; se penso che sono arrivato che avevo 30 anni ed ora ne ho quasi 38…quasi un quarto della mia vita vissuto qui! Burocraticamente parlando ho provato di tutto: la permanenza sul suolo ucraino sulla base del visto, il primo anno e mezzo, quando ancora funzionava il regime dei visti; poi per 4 anni il permesso di lavoro del Ministero del Lavoro ucraino, che mi concedeva il diritto di risiedere nel Paese per un anno e che doveva essere rinnovato di anno in anno, ma per un periodo complessivo massimo di 4 anni; poi un periodo di irregolarità e di incertezza, senza né visto, né altri documenti, in cui il rischio di essere espulso esisteva realmente; incertezza infine colmata con la nascita di mio figlio, del “Gringhinox”, che mi ha dato il diritto di poter ricevere il permesso di soggiorno. Ecco dunque che il pensiero vola a ringraziare questo mio “esserino”, che – ignaro totalmente di ciò di cui è stato promotore – è a casa tranquillo che sta giocando o dormendo.
E in un attimo penso alle nuove opportunità che mi si aprono da oggi. Ragiono ormai “all’ucraina”, sono cosciente che queste problematiche farebbero sorridere qualsiasi altro mio connazionale, ma che farci? Io vivo qui e devo riferirmi a questo Paese. E così da oggi niente più patemi d’animo alla dogana (come nell’ultimo anno in cui ero irregolare e rischiavo multe ed altri inconvenienti molto spiacevoli): ora posso entrare e uscire dal Paese quando voglio e per quanto tempo voglio.
E così da oggi sono a tutti gli effetti residente fiscale: già da anni con l’iscrizione all’Aire ed in conformità ad una Convenzione in questo ambito tra Italia e Ucraina, avevo scelto l’opzione fiscale ucraina, ma a questo punto viene confermato, anche da parte ucraina, il mio status di residente fiscale.
E così da oggi posso infine compiere una vasta gamma di atti burocratici che prima non potevo fare, tra questi penso ai versamenti di denaro contante in banca senza la dichiarazione della provenienza di esso, allo sdoganamento di automobili, ecc… e chissà quanti altri altri diritti e doveri mi dà questo pezzo di carta…


Oltrepasso la cancellata arrugginita dell’Ovir, esco sulla strada con la sensazione di essere un “uomo nuovo”, davvero!: ehh sì, da oggi sono dunque “mezzo ucraino”!
Penso: stasera si festeggia!


Gringox

Kiev, sabato 28 gennaio 2012




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gringox [ 17 Febbraio 2012, 12:06 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Scartabellando qua e là nei documenti che ho salvato nel computer ho ritrovato la lettera - mai consegnata al destinatario - che avevo scritto all'amico Alan (Alandd2001 del Forum) nel novembre scorso, poco dopo la sua partenza definitiva dall'Ucraina.
Mi è venuto un attimo di nostalgia e ho deciso di pubblicarla ora, qui, in questo "mio" spazio, poichè essa rappresenta un mio particolare stato d'animo di quel momento, per me triste.







Ad “Alandd2001”, amico italiano di Kiev, che lascia l’Ucraina!


“Alanuccio” sei partito ormai da qualche giorno e già c’è un vuoto! E a Kiev la piccola comunità italiana di amici (e del Forum) si riduce un’altra volta. Tre anni fa se ne andava – tornava in Italia –“Stefanuccio” (il “fu” Italjanets, gestore del sito “italia-kiev” sul quale si appoggiò la comunità russofila del dopo “Rivoluzione Morale Forumistica”, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, diventato poi webmaster e successivamente “Cagliostro”), il mio “maestro” kievliano – colui che mi aiutò a compiere i primi passi in questa terra allora a me ancora sconosciuta, quando sbarcai in Ucraina nel lontano ormai 2005; ora è il tuo turno.

Ci siamo conosciuti poco più di due anni fa, ancora una volta grazie a questo meraviglioso Forum – non tanto, se pensi che io stavo già a Kiev da 5 anni e tu ci vivevi da un anno – ma ciò non è importante; quello che conta è l’evoluzione di questa nostra amicizia che ci ha regalato nel corso del tempo la consapevolezza di poter contare l’uno sull’altro perché amici con la “A” maiuscola! Tu serio, a volte serioso – nonostante la tua giovane età – quadrato e “regolare”; io all’opposto estremamente gioviale e perennemente desideroso di socialità, di movimento, di baldoria; tu riservato, io aperto; tu freddo, io più sensibile e romantico; tu economo, io più spendaccione; tu bravo marito, io farfallone; tu che ti sentivi scomodo in questa terra, io che invece mi sento appagato… insomma io e te molto diversi sotto molti aspetti. Ma umanamente molto uniti e sempre pronti a venirci incontro vicendevolmente, consci delle difficoltà che questa terra spesso ti presenta. Ancora freschi nella memoria i ricordi dei nostri “pasta party”, delle nostre fumatine di kaljan, delle partite a calcetto, dei finesettimana estivi ai laghetti fuori Kiev, della compagnia telefonica che mi tenevi durante le lunghe ore di macchina caratterizzanti le mie trasferte ucraine…

Il tempo è un aspetto atroce dell’esistenza, non si ferma mai; calpesta tutto con la sua inesorabile sfrontatezza e non concede tregua mai e a nessuno di noi! Negli ultimi tuoi giorni a Kiev ci siamo visti più spesso del solito quasi a voler fermare ogni attimo e ritardare la tua partenza. Ma io vedevo in te la frenesia della partenza, il desiderio di iniziare finalmente la tua nuova quotidianità in un nuovo ambiente, in un nuovo Paese.
L’amicizia tra noi italiani all’estero, quando essa è sincera, spontanea, non legata ad affari, assume un carattere particolare, in cui gli aspetti della compagnia, della vicinanza, della condivisione di una quotidianità che nel bene e nel male unisce noi stranieri nelle stesse problematiche, convivono e contribuiscono a rafforzare i legami tra le persone. E così ci si cerca spesso, sia telefonicamente che realmente, ci si racconta aneddoti di esperienze quotidiane; ci si consiglia vicendevolmente su questioni pratiche o burocratiche locali; si cerca di condividere spesso l’italianità sotto forma di cibo, di partite di calcio, semplicemente di dialogo nella nostra lingua madre; quando ci si incontra si ricorda il passato “italiano”, si fanno paragoni; si colgono gli aspetti regionalistici che ci differenziano, ma che ci ribadiscono con fermezza la bellezza del nostro Paese, così variegato, ma unico ed indivisibile; si ride, si scherza, ci si prende in giro; si commenta la politica e lo sport visti “da fuori”; si progettano situazioni da vivere insieme; si bofonchia di tante cose…

E così rivedo i tuoi occhi vispi mentre ti accompagno all’aeroporto, in essi la freddezza della gioventù e l’ottimismo vivace di chi è convinto che è giunta l’ora di un “addio” e non di un “arrivederci”, ed io so che questo è il tuo volere! Tu in Ucraina non ci tornerai più, se non come turista o di passaggio per qualche giorno…

Si conclude una fase della tua ancora giovane vita, un primo importante fardello di esperienza che hai accumulato e che ti ha forgiato riempiendoti di quella sicurezza necessaria per affrontare le nuove sfide di una vita, che il destino vuole che tu continui all’estero; ma sappi, per me tu resti sempre lo “sbarbato” del gruppo kievliano.
È arrivato per te il momento di voltare pagina, sempre da emigrato: ti attende la potente e severa Germania, Paese europeo diverso totalmente da quello dove hai vissuto per tre anni, forse più consono a te, per come sei fatto. Ti aspetta la moderna ed evoluta Berlino, una grande capitale, che nulla ha a che vedere con Kiev! Sono sicuro che ti troverai bene, anche se dovrai faticare per farti spazio poiché là sei un giovane straniero tra tanti…chissà che ne sarà di te!

Ebbene con questo breve pensiero che riflette la malinconia che mi assale in questo momento, ti saluto amico mio. Questa è la vita, c’è chi parte, c’è chi resta, e sarà il tempo a mettere i puntini sulle “i” e ad abituarci alle nuove situazioni.
Cerca di trovare l’armonia con te stesso e la serenità di chi trova l’appagamento in ciò che fa ed è felice.


Un forte abbraccio,

Gringox


Kiev, 30 ottobre 2011.


gringox [ 25 Aprile 2012, 11:54 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Rovno, 20 marzo 2012

Oggi è un giorno particolare, che tocca l’uomo Gringox e il forumista Gringox, poiché in questi ultimi anni della mia vita molto spesso l’uomo e il forumista sono andati a braccetto lungo lo stesso sentiero, sostenendosi vicendevolmente con la consapevolezza dell’importanza che il Forum ricopre per l’uomo Gringox e del valore e responsabilitа che l’uomo Gringox rappresenta per il Forum. All’uomo Gringox oggi cade una gocciolina di nostalgia sul viso ed il forumista Gringox trova la forza per descrivere il proprio stato d’animo in questo giorno e condividerlo nel Forum.

Oggi sono 7 anni che vivo in Ucraina, coronamento di un sogno russofilo inseguito per tanto, tanto tempo…festeggio questo giorno non a Kiev – non è un caso che non sia a Kiev, bensì in trasferta nell’Ovest Ucraina, quella parte di Ucraina che in tutti questi anni mi ha visto “viaggiatore” per lavoro, ma pur sempre “viaggiatore”, e ha riempito tante giornate e tante vicende della mia vita qui. Sono a Rovno, città sconosciuta ai più, a 330 km da Kiev, non lontano dal confine bielorusso e mi ritrovo ora in compagnia di due colleghi a brindare a questo “giubileo”, a guardare indietro, a questi anni trascorsi, alle conquiste personali, lavorative e burocratiche ottenute e alle perdite subite. Non nascondo la mia soddisfazione per avere costruito qualcosa! Non importa che ciò sia piccolo o grande, ma qualcosa ho fatto e l’ho fatto nell’ambito della realizzazione di quello che 7 anni fa era il sogno di poter cambiare la mia vita orientandola e realizzandola nella russofilia.

Il 25% della mia vita l’ho trascorso qui, sette anni su 37…non è cosa di poco conto! Questo Paese mi ha cambiato sotto diversi aspetti, umano, sociale, psicologico, ma un punto voglio focalizzare in particolare; mi ha cambiato come Italiano e mi ha cambiato come russofilo. Da una parte mi ha rinforzato come patriota e dall’altra ha smorzato la mia “totalità” russofila in un più maturo realismo. Ciò non affievolendo comunque mai la mia passione per questo mondo e la mia soddisfazione nel vivere qui. Ora sono più conscio davvero e orgoglioso di essere figlio di un grande Paese – non è retorica nè parlo ovviamente della “pochezza” politica o di altre derive sociali degli ultimi tempi – e credo di esserne degno rappresentante qui dove sono: la cultura, la storia, l’autorevolezza di cui l’Italia è simbolo nella storia delle Nazioni e nel mondo attuale sono fatti e non parole. Questa convinzione si è rafforzata in questi anni vissuti qui attraverso la conoscenza, la frequentazione e il dialogo con persone di varie età ed estrazione sociale con le quali ho avuto e ho a che fare sia per lavoro che nella vita quotidiana e mi ha portato nel tempo alla conclusione sopra descritta. Dall’altra parte la sempre maggiore constatazione che quella russofilia di cui ero intriso, era più il frutto di un’idea che forse trovava trasposizione nella realtà in un’epoca storica che ormai fa parte del passato, di quel passato sovietico di cui forti tracce si calpestano tuttora, ma che in generale è stato travolto dalla globalizzazione socio-economica e dalle sue conseguenze che qui si concretizzano in drammatiche contraddizioni.
Ed io, in questo “gioco” ho trovato la mia integrazione, che non è solo l’adattamento ad un territorio, a delle situazioni e ad una società che piacciono, ma è qualcosa di più; è il compromesso psicologico tra la mitizzazione di quell’idea russofila che è sempre dentro di me, e la quotidianitа che mi fa sentire a mio agio, in una realtà che, seppur lontana da ciò che la mia mente immaginava, conserva tuttora nella sua contradditorietà spunti di quel passato, e che tanto stimola il mio entusiasmo. Ed in questo contesto ho iniziato pian piano a muovermi, a comprenderne le dinamiche e a farmi spazio trovandomi una degna sistemazione.

Che cosa strana: è aumentato il senso patrio verso il mio Paese, ed è mutata la russofilia che avevo anni fa; eppure non torno in Italia ma sto qui, e qui sto bene. Perchè questo? Perché qui ho trovato il mio degno posto e la “mia” forma di integrazione! Chissà, forse è una tappa di passaggio della mia vita...ma questa mia “missione” non la sento ancora volgere al termine...

Ebbene caro Forum, voglio festeggiare anche con voi questo momento, poiché mai dimenticherò che è grazie a questo Forum che 7 anni fa si è potuto realizzare il sogno. Certo la tensione verso quel sogno viene da lontano, e va ricercata indietro nel tempo…ma solo l’interconnessione col Forum ha reso possibile la sua concretizzazione. Ed ecco che molto si spiega della mia passione forumistica e del mio affetto quasi morboso verso il Forum.

Vi abbraccio tutti, uno ad uno con l’augurio che ciascuno possa trovare la propria “integrazione” e la propria realizzazione di vita.

Gringox


gringox [ 29 Agosto 2012, 9:25 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Kumpel’!

Un nome che è garanzia di soddisfazione per il palato e pienezza per lo stomaco! Letteralmente “compagno di bevute”, nel dialetto leopoliano che è un misto tra polacco e ucraino, questo locale è il posto giusto per chi ama la birra buona e la cucina a base di carne. La musica stile “polka” e tradizionale polacca di sottofondo si concilia soavemente col brulichio delle voci delle variopinte compagnie di amici che qui si ritrovano per trascorrere una serata simpatica nel buon umore sorseggiando una “burshtinove” ambrata (бурштинове) o una “svitle” (світле) dal colore ocra intenso, le due principali birre che il microbirrifficio Kumpel’ produce. L’ambiente è simpatico e tutto, dall’arredamento interno a metà tra il bavarese e il polacco agli ornamenti d’arredo, riporta ad un unico filo conduttore: la birra.

Qui addirittura in una parete del locale gli affezionati “compagni di bevute” conservano i propri boccali, individuali e personalizzati, in bacheche di vetro chiuse di cui ciascun proprietario conserva la propria chiave.

Una cena qui, solo o con clienti, è tappa fissa in ogni mia trasferta a Lvov, da quando nel 2008 nel centro storico della città ha aperto questo locale. Qui incredibilmente ho ritrovato la trippa alla milanese, piatto che non mangiavo da anni, forse da quando ero bambino...“флячки” (fljachki) – così viene chiamata qui, forse anch’esso nome di origini polacche – è piatto pure tradizionale della Galizia. La Galizia («Галичина») era all’estremità opposta dell’impero d’Austria e Ungheria: da una parte il Lombardo-Veneto, dall’altra la Galizia…chissà, forse le origini di questa somiglianza culinaria vanno ricercate in altro, magari nella tradizione contadina, ma a me piace pensare che in qualche modo ci sia un collegamento geografico-culturale tra queste due macroregioni che al tempo degli Asburgo si trovavano nella stessa entità statale. Dunque Milano (la mia città natale) e Lvov nello stesso stato fino alla prima metà e oltre del 1800, fino a quando la Lombardia non entrò nel nuovo Regno d’Italia…il pensiero a questa situazione mi apre nella mente immagini e visioni di carretti, di strade, di genti che viaggiavano nelle varie parti di questo Impero multiforme e multietnico e chissà, magari anche i “fljachki” o trippa in qualche modo è arrivata da queste parti (o viceversa) grazie proprio al passaggio di genti che portavano con sé le proprie tradizioni anche culinarie. È Andrej, mio fedele cliente e già da tempo sincero amico lvoviano – nazionalista (o antirusso) tanto da rimpiangere i tempi in cui Vienna era la loro capitale, ad avermi inculcato questa fantasia, questo strano collegamento culturale; ma in fondo è bello degustare della buona birra e fantasticare su un passato lontano ormai che ha visto noi lombardi e loro galiziani insieme…

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I "fljachki".


Al kumpel’ la birra è fantastica! L’ultima trovata è il boccale in plastica da 3 litri con rubinettino per spillare la birra, situazione ideale per le compagnie di buoni bevitori che a volte non è sufficiente per saziare la voglia e occorre ordinare un altro boccale per tirare a fine serata. Nella mia ultima trasferta, un paio di settimane fa, la “burshtinove” ambrata ha accompagnato degnamente il tagliere con la “metrova kolbasa”, un metro di salsiccia della casa, composta da carne di maiale, pollo e manzo; un piatto eccezionale.

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Il boccalone da 3 l. di "burshtinove"


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...e la "metrova kolbasa".


A fine serata dal Kumpel’ si esce sempre decisamente col buon umore. Ma è d’uopo fare quattro passi per le romantiche viuzze del centro di Leopoli, per smaltire la sana sbornia guardando con altri occhi – quelli lucidi ed ebbri di birra – gli edifici a tratti cadenti della città e le sue forme, che la notte risultano ancor più suggestivi per i giochi di luci ed ombre, rievocando i tempi passati dell’Impero asburgico…


Gringox


Lvov, 11 aprile 2012


gringox [ 29 Agosto 2012, 9:28 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Sevastopol’ (Севастополь).

Sevastopol’ – «город герой»! Anzi città per ben due volte eroica! Quando l’ammiraglio Nahimov guidò la resistenza contro la coalizione anglo-franco-turco-italiana (o meglio sabaudia, dato che l’Italia ancora non esisteva) nella sanguinosa guerra di Crimea tra il 1854 e il 1855, quando la città venne quasi rasa al suolo dalle cannonate sparate dalle navi che come api punteggiavano e ronzavano nella piccola baia antistante la città… lui era lì; ed ora lui è ancora lì a sovrastare la grande e bella Piazza Nahimov a lui dedicata, e a ricordare ai sevastopoliani e a me, visitatore di passaggio, le vicissitudini della città e il suo valore.

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Statua di Nahimov.


La seconda volta si ripetè meno di 100 anni dopo, quando Sevastopol’ fu oggetto di aggressione nazista e dovette organizzare un’accanita resistenza, durata 250 giorni, prima di cedere al nemico. E così, come Kiev, come Leningrado, come Odessa, come Minsk, come Smolensk, come Kerch’, ecc… e forse ancor più meritatamente delle città sopra indicate, anche Sevastopol’ è ricordata tuttora come gloriosa “gorod geroj”.

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Altare della Patria.


Monumenti alla gloria della città ce ne sono ovunque in una quantità mai vista da altre parti: statue, memoriali, cippi, busti, insegne, colonne e chi più ne ha più ne metta.

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«Матрос и солдат»; ("Matros i Soldat" - il poderoso monumento al marinaio e al soldato).

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Памятник Затопленным короблям» - Colonna dell’aquila (o monumento alle navi affondate durante l’asssedio della guerra di Crimea).

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Monumento alla resistenza nella guerra di Crimea.

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«Обелиск в честь города-героя Севастополя» - obelisco in onore della città eroica Sevastopol’.


E così eccomi di nuovo in Crimea, una terra che mi sta già attirando da tempo e che ho iniziato a visitare l’anno scorso; dopo Yalta e il suo circondario, dopo Sudak e la tranquillissima baia di Novij Svet eccomi dunque a Sevastopol’.

Di bello a Sevastopl’ c’è l’atmosfera cittadina e la gente. Se Yalta è il “kurort” per eccellenza, dove prima la nobiltà zarista, poi l’elite dell’apparato statale sovietico, sfoggiavano l’eleganza e dove ora troneggia la sbruffoneria, pur in un contesto cittadino sotto molti aspetti retrò, dell’oligarchia contemporanea e degli eredi di quelle oligarchie post-sovietiche; Sevastopol’, disposta in modo esteso lungo un dolce pendio che scende verso la baia, è la grande città portuale – la vera capitale della Crimea (sebbene politicamente la capitale sia Simferopol’) – che conta circa 350.000 abitanti e dove tutto ruota intorno al porto e al commercio marittimo. Essa è del tutto conforme, esteriormente, allo standard delle altre città “soviet”: palazzoni ancor più fatiscenti e dalle facciate degradate dalla salsedine nella periferia sulla collina, strade larghe e polverose, un centro carino con qualche edificio neoclassico sul lungomare, parecchie “stalinki” e poca roba del tempo precedente, poiché le guerre qui hanno raso al suolo per bene la città; nonostante ciò essa appare ordinata e davvero piacevole.

Il lungomare è molto ben curato e i sevastopoliani amano molto passeggiare qui, soprattutto in queste tiepide giornate di primavera e durante la calda estate.

La marshrutka è, come sempre nelle Russie, il modo più comodo per girare la città, ed è anche piacevole: era da tempo che non sentivo la musica in marshrutka; la radio che il conducente tiene sempre ad un volume garbato ti alletta il viaggio mentre guardi fuori dal finestrino.

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La baia dinnanzi a Sevastopol'.

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«Графская пристань» - (“Grafskaja pristan’”), la facciata in stile neoclassico, inaugurata nel 1846, dove si svolgevano le parate dei marinai alla corte di vari imperatori, da Caterina II, ad Alessandro II, a Nicola I, a Nicola II…

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Il lungomare.

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Intrattenimenti sul lungomare: il «запорожский самовар» ("samovar di Zaporozhe").


La gente dicevo… forse la consapevolezza del valore storico che la città ha assunto sin dai tempi degli antichi greci è all’origine dei modi civili e colti della gente, in generale. È dai piccoli atteggiamenti, dal modo di rispondere, dagli sguardi della gente che si nota la differenza rispetto alla maggior parte del mondo russo che conosco. Un “grazie” in più, una persona che ti accompagna fino a destinazione alla richiesta di indicazioni stradali, una marshrutka che si ferma lungo la strada, e non necessariamente alla fermata, al semplice cenno del braccio e ti raccoglie; lo stesso particolare della consegna dell’ “obolo” al conducente per la corsa in marshrutka (2 grn!) a fine corsa, prima di scendere e non al momento della salita; i volti sorridenti della gente…

In giro pochi marinai russi fanno da cornice alla realtà cittadina. Ciò mi sorprende deludendomi un poco. Nonostante gli accordi politici ucraino-russi che prolungano il “dominio” russo sulla città, essa non è più quella di un tempo; non è più la potente Sevastopol’ che dal dopoguerra al 1991 rappresentava la gloriosa città strategica del mar Nero, dove era ancorata la più grande flotta dell’Armata Rossa nella parte meridionale dell’impero sovietico… l’importanza di Sevastopol’ è soprattutto simbolica ora; sta a confermare il diritto che i russi si attestano di poter stare qui, in un territorio che la storia ora assegna ad un altro Stato. Se si notano pochi marinai russi, in compenso le bandiere a strisce orizzontali bianco, blu e rosso sventolano orgogliose ovunque, in cima ai tetti degli edifici della città a ribadire appunto il legame forte ed inscindibile della città con la madrepatria russa. Che cosa strana, già a Yallta e a Novij Svet mi aveva impressionato questo particolare delle bandiere russe, ma qui ha a dir poco dell’incredibile tante esse ne sventolano sopra la città...

Anche le navi militari sembrano appartenere ad un’altra epoca; sebbene tuttora funzionanti, e abitate – si scorgono i marinai indaffarati nella pulizia a bordo – esse stanno lì placide con la chiglia a tratti arrugginita e non fanno più paura a nessuno, anzi sembrano più che altro un oggetto di attrazione per visitatori. Avvicinarsi ad esse è comunque una grande emozione, e mentre la guida racconta i nomi e i particolari delle navi alle quali passiamo vicine, la mia mente vola indietro nel tempo, ai tempi della Guerra Fredda quando queste navi facevano paura per davvero...

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Alcuni esemplari della gloriosa flotta russa del Mar nero...

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...e ancora.


Impressionante, ma sul serio! – accolgo con un’esclamazione spontanea ad alta voce la sorpresa per ciò che mi si apre davanti, o meglio tutto intorno, dopo aver salito la scaletta ed essere entrato nella grande e centrale sala del c.d. “Panorama dipinto”! Un dipinto tridimensionale: cioè un telo dipinto integrato da inserti tridimensionali, alto 14 m., lungo 115 m. che, includendo gli oggetti e l’area tridimensionale, ricopre uno spazio totale di circa 1000 m2! Mentre si gira intorno al dipinto, si ha la sensazione incredibile di essere là, tra quei soldati russi baldanzosi dipinti che con foga combattono, si organizzano, discutono, curano i feriti, caricano le munizioni dei cannoni, ecc... la gloriosa resistenza della città durò 349 giorni, ma fu vana: la coalizione anglo-franco-turco-sabauda ebbe la meglio!

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Spezzoni del "Panorama dipinto"...

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...e ancora.


Khersones non ti lascia indifferente! Una volta entrati nel parco in cui giacciono le rovine greche ci si immerge davvero in un’altra dimensione. Sembra di stare ad Agrigento nella valle dei Templi o ad Atene sull’Acropoli, ma qui il contesto più selvaggio e la possibilità di gironzolare dove e come vuoi tra queste pietre, ti dà una sensazione di maggior assorbimento col passato. L’ideale è venirci qui al tramonto, come ho fatto io, all’imbrunire, in modo da immergersi totalmente in questo mondo pre-cristiano. I resti più belli sono decisamente quelli del teatro... toccare queste pietre e pensare che esse hanno 2400 anni (data della fondazione della città greca è il 422 a.C.), ti fa riflettere. Non per niente Khersones, che in italiano chiamiamo Chersoneso, è patrimonio dell’Unesco dal 1996. In questo contesto ha preso origine anche la Chiesa Russa Ortodossa, quando il principe Vladimir il Grande nel 989 d.C. fu battezzato e si convertì al cristianesimo; la bellissima Vladimirskij sobor – la cattedrale dedicata al principe Vladimir, è lì ad osannare questo evento storico.

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Херсонес - Chersoneso, le rovine della città greca del 422 a.C.

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...e ancora...

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Ciò che resta del tempio e nello sfondo la bellissima cattedrale di Vladimir.

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Vladimirskij sobor.

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La "Pesciolina" tra le rovine greche.


Balaklava (Балаклава) è un paesetto placido disposto a semicerchio nella piccola baia e sovrastato da brulle collinette che scendono dolci verso il paese ma che cadono a strapiombo dalla parte opposta sul mare aperto.

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Vista su Balaklava.

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A picco sul mare aperto - vista da sopra Balaklava.

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Alle spalle, Balaklava.


Da Sevastopol’ ci si mette poco ad arrivare in marshrutka, ma vale davvero la pena trascorrere qui una giornata e farsi una bella mangiata di pesce sul lungomare, sempre se le finanze te lo concedono, dato che qui ho la riconferma che la Crimea è equiparabile a Kiev dal punto di vista dei prezzi (il bel pranzo a base di pesce, con boccia di "shampanskoe" mi è costato circa 500 grn. per due persone!).

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La squisita "uhà" di pesce.

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I deliziosi e da me adorati "rapany", antipasto di mare della Crimea.

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L'ottima grigliata a base di triglie e sogliola.

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...il tutto annaffiato da del morbido "shampanskoe" («Золотая Балка» - “Zolotaja Balka”), prodotto proprio a Balaklava.


Chi avrebbe mai immaginato che qui, in questo placido paesino di mare, si nascondesse la segretissima base militare sotterranea dove si procedeva alla manutenzione e riparazione nonché all’installazione delle testate nucleari dei sommergibili nucleari sovietici. Il racconto della guida, man mano che ci si addentra nei cuniculi e nei tunnel rivestiti di massiccio cemento armato, ti lascia a bocca aperta: qui fino al 1991 lavoravano circa 650 marinai, in tutta segretezza per cinque anni e nessuno, neppure i parenti più stretti, era al corrente di dove si trovassero i propri famigliari; costoro, una volta terminato il servizio in questa struttura, avevano il divieto per altri cinque anni, di uscire dall’Unione Sovietica. La struttura sotterranea e il lavoro svolto da questi marinai e tecnici erano coperti dal segreto di stato. Di sottomarini ahimè non se ne vedono ora – il che mi lascia un po’ male; ma alcune sale sono adibite a museo con oggetti, fotografie e rappresentazioni della vita che si svolgeva qui nella quotidianità, e ciò abbellisce la visita e fa volare un pò la mente. Resta il fatto che l’impatto con quei canali bui, della dimensione giusta per farci passare il sottomarino, quelle passerelle, quei portelloni di cemento ti mette un brivido sulla pelle, emozione che poi però va a scemare un pò nel proseguo della visita. In tutta onestà questa escursione vale la pena farla una volta nella vita ma non di più, giusto per farsi un’idea di questo mondo sotterraneo, antiatomico, segreto a tutto il mondo, che ora giace per lo più abbandonato e in degrado.

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In ricordo alla II Guerra Mondiale.

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Apparentemente una baracca per pescatori, in realtà l'ingresso al tunnel antiatomico di Balaklava.

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All'interno nei meandri antiatomici...

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...i canali bui dove venivano riparati i sommergibili, o venivano caricate le testate atomiche...

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...e l'interno della base...

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...di forte impatto la frase impressa sul muro "не все говори, что знаешь, но всегда знай, что говоришь!" ("non dire tutto ciò che sai; ma sappi sempre ciò che dici!)...

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...un modellino di sommergibile nucleare sovietico...

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...e infine una foto dell'epoca della Guerra Fredda, mentre un sommergibile sta per entrare nella base.


L’altra attrazione di Balaklava è la fortezza di Cembalo (крепость Чембало), o meglio ciò che rimane della presenza genovese del XII e XIV sec.; da essa si apre una vista mozzafiato sul mare aperto da una parte, e sulla baia di Balaklava dall’altra. A differenza della fortezza di Sudak, qui è rimasto ben poco, tre torri di cui una che stanno ristrutturando (anche se mi hanno detto che è anni che è in ristrutturazione e pare lasciata ugualmente a sè stessa...) e un pezzo di mura. Ma ripeto, il bello di questi luoghi e di queste escursioni è la totale libertà di movimento e di azione: si può toccare, si può esplorare, ci si può arrampicare ovunque… brutto invece è vedere il “solito” degrado e la “solita” mancanza di civiltà che si traduce in sporcizia con immondizia, bottiglie e barattoli buttati qua e là per il territorio.

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Resti della fortezza genovese di Cembalo.

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Arrampicandomi tra le rovine.


Dedico l’ultima mezza giornata alla visita del paesino di Inkerman (Инкерман), a una mezz’oretta di marshrutka dal centro di Sevastopol ma in direzione opposta rispetto a Balaklava, giusto per completare la visita di Sevastopol’ e dintorni e dunque il programma da me stabilito. Meritano la visita qui sostanzialmente due cose: il monastero nella roccia di San Clemente e Martino: un capolavoro architettonico dell’VIII-IX sec., tuttora abitato, che, sebbene molto più piccolo e raccolto, mi ricorda il monastero di Ostrog, in Montenegro, dove anni fa ci passai pure una notte tra monaci e pellegrini; carinissimo il giardinetto dalle aiuole varipinte all’interno.
E un altro resto di fortezza, non genovese però, la fortezza “Kalamita” (крепость Каламита), posizionato sul dirupo proprio sopra il monastero. La sua posizione in mezzo ad un prato verde verde, il suo essere così diroccato e quelle forme, mi danno l’idea che si tratti più di un qualche resto celtico in Irlanda o in Scozia, piuttosto che un pezzo della presenza russa del XV sec…

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Пещерный монастирь Св. Климента и Мартина - Il monastero nella roccia di San Clemente e Martino.

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Resti della fortezza Kalamita di Inkerman.


A tutti in Ucraina e nelle Russie è noto il marchio “Inkerman”, che è sinonimo di vino di qualità e valore (lontanamente paragonabile comunque alla qualità italiana!): ecco dunque che dopo aver sperimentato e degustato in fabbrica i vini di Massandra (a Yalta) e lo “shampanskoe” di Novij Svet, la curiosità di provare il vino Inkerman è tanta… ed è questo il secondo motivo buono per venire qui. Purtroppo questa volta mi va male! Lunedì è giorno di chiusura! Forse perchè è il lunedì di Pasqua. Tento di “convincere” la guardiana della fabbrica a farmi entrare o per lo meno ad aprire il negozietto per comprare due bocce di vino, ma è tutto inutile: il lunedì nessuno lavora ed è tutto chiuso. Sconsolato mi avvio alla fermata della marshrutka, manca poco alla partenza del treno…

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L'ingresso della fabbrica di vini Inkerman.


Un peccato tranciare la giornata a metà e partire da Sevastopol’ poco prima delle 14.00; ma il rientro a Kiev è lungo, ben 17 ore di treno, sebbene si prevede comodo e tranquillo; e così, svaccato sulla “cara” cuccetta del “mio” caro treno russo, studio già la prossima avventura in Crimea, tra un paio di mesi.

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Il mio vagone del treno "firmato" - Sevastopol' che mi riporta a Kiev.



Gringox

Sevastopol', finesettimana di Pasqua, 14-16 aprile 2012


gringox [ 29 Agosto 2012, 9:31 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 12/06/12


Si respira grande euforia in queste calde serate kievliane in cui l'evento calcistico degli Europei ha scosso questa giovane Nazione ed apportato un grande entusiasmo e una gioia generali.

Maidan e Khreshatik sono chiusi al traffico per tutta la durata del torneo ed è stata creata una "fan zone" - quella che ho chiamato la "grande ammucchiata" - dove il popolo si ritrova davanti a dei megaschermi posizionati in diversi punti della strada e quello più grande proprio in Maidan.

Tanti giovani, ragazzi e ragazze, passano qui queste serate, bevendo birra e sventolando bandiere a seconda delle partite che vengono disputate e delle loro simpatie calcistiche. Volti pitturati dei colori delle varie Nazionali, bandieroni, magliette variopinte, fragore, fiumi di birra...ed io spesso sono là, in mezzo a loro, a condividere questi momenti unificatori, il cui significato credo che vada oltre il calcio...

Ieri sera una sola voce "Ucraina Ucraina", un solo coro...una miriade di magliette gialle e un tripudio di bandiere!! Un carnaio: mai visto il centro di Kiev così strapieno di gente.

Grande Sheva, ha messo l'anima, grande Gusev, grande Timoshuk, grandissimo Voronin...e la commozione di Blohin è epica. Mi sono commosso anche io. Ero solo, unico italiano, in mezzo a una folla gialla, anche io privato della mia "pelle" e fede italica a gridare a squarciagola "Ucraina Ucraina" e a vivere quell'emozione come uno di loro. Del resto questa è la mia seconda Patrria che amo ormai e della quale non posso farne a meno...
Bellissima e trepidante la telecronaca della partita, il telecronista ucraino è fantastico nel riuscire a trascinarti con l'emozione delle parole e dei toni di voce, spesso con battute che provocano scroscianti risate da parte della platea di ascoltatori. Altro che le negne di certi commentatori nostrani.

La gioia per la vittoria e per la doppietta del "vecchietto" Shevchenko è incontenibile a fine partita. Fuochi d'artificio, urla infinite spesso sbiascicate e postumo di fiumi di birra ingurgitati durante la partita.
Siamo solo alla prima vittoria (e prima partita) e pare che il popolo giallo stia festeggiando già la vittoria del campionato europeo!! Staremo a vedere...

In bocca al lupo Ucraina!!


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Gringox


gringox [ 29 Agosto 2012, 9:34 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 07/07/2012.


Chernobyl, 9 maggio 2012.


9 maggio – den’ Pobedy! La gloriosa festa della Vittoria che si celebra in tutta l’ex-Unione Sovietica, in memoria della grande guerra patriottica vinta dai sovietici contro i nazisti può essere celebrata dal semplice cittadino in diversi modi: chi va alla parata (non più tantissima gente come anni fa), chi si ubriaca con gli amici, chi va a passeggio se la giornata è bella, chi va al cimitero (dato che è tradizione dopo la Pasqua ortodossa fare visita ai propri morti e trascorrere la giornata “insieme” a loro mangiando e bevendo intorno alla tomba); insomma ognuno in questo giorno di festa si diletta come più gli garba. Qui in Ucraina c’è anche chi ne approfitta per fare visita ad un luogo, chiuso e vietato per tutto il resto dell’anno, ed aperto solo ed esclusivamente in questo giorno per chi in questo posto ha i propri cari sepolti o ci ha vissuto, prima che succedesse la grande catastrofe del 1986…mi riferisco a Chernobyl!

Tanja ha abitato per diversi anni con la famiglia a Pripjat’, vicinissimo alla centrale nucleare dove suo padre ha lavorato per tanti anni. Abitavano nella ul. Gerojev Stalingrada, 27 al 7° piano. E Tanja quasi ogni anno, ogni 9 maggio, con Vova suo marito, torna a rivedere l’appartamento e a passeggiare per quella che ora è considerata la “città fantasma”. Vova e Tanja fino a un mese lavoravano con me, prima di prendere la decisione di licenziarsi.
E a loro quest’anno mi unisco anche io. Finalmente posso realizzare quel desiderio di viaggio che da tempo, da anni, mi assilla; la curiosità di vedere di persona certe cose, di parlare con chi là ha abitato, di sentire racconti umani di chi ha vissuto quella tragedia, di vedere la natura circostante, la realtà rimasta ferma al 1986. Continua dunque il mio viaggiare alla scoperta di ogni angolo di questa terra ucraina che da oltre 7 anni è diventata la mia seconda patria.

In poco più di un’ora e mezza con la mia macchina giungiamo al КПП Детятки (il posto di blocco Detjatki), la barriera che segna l’inizio della zona ad alta radioattività intorno alla centrale di Chernobyl. C’è coda al posto di blocco, non sono turisti ma famiglie, uomini, donne, anziani soprattutto che si accingono a portare fiori ai cimiteri dei villaggi nella zona intorno alla centrale, villaggi abbandonati dai vivi, ma che ospitano ancora i morti…; Vova ci aveva avvisati del possibile traffico e per questo saggiamente siamo partiti la mattina presto. Mentre siamo in fila la militsja distribuisce il foglietto – datato ancora “2001”! – con le indicazioni di come comportarsi all’interno della zona, pezzo di carta che deve essere firmato e restituito all’uscita. Nel leggere i vari punti già sale l’emozione e una certa preoccupazione: vietato porre cibaria e mangiare nei campi, vietato sedersi sulla terra, vietato accendere fuochi, vietato portare via oggetti e piante, ecc. Al nostro turno Vova mostra alla militsja il documento che attesta che la moglie è una ex abitante di Pripjat’ e così entriamo.


foglietto
Il foglietto che viene consegnato al posto di blocco.


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KPP Ditjatki (il posto di blocco di Ditjatki).


cartelli


Strana l’aria che si respira al di là della barriera. Il paesaggio appare la stesso di tanti altri qui in Ucraina, eppure…forse è la suggestione, la tensione, l’idea di trovarsi a pochissimi chilometri dalla centrale, ma sta di fatto che mi sembra di respirare un’altra aria, più pesante, più maleodorante. La vegetazione appare più densa e intricata e disordinata; mentre proseguiamo lungo la strada – stranamente in discrete condizioni – mi vengono in mente i racconti della gente e le leggende che girano da queste parti e che narrano di animali di dimensioni abnormi che si aggirano nei boschi, cinghiali, caprioli, lupi…chissà cosa c’è di vero in tutto questo, vorrei avere la fortuna di fare degli strani incontri, ma il regno di queste presenze è la notte e forse è meglio così.

Se ne sono raccontate tante di storie su questa catastrofe umana, su quei drammatici momenti e sulle conseguenze che per anni e tuttora ne sono derivate a tante vite umane; tanto materiale, foto, ricerche, reportages; c’è anche un interessantissimo museo a Kiev, che io ho visitato diverse volte, esso è fortemente toccante; ma un’altra cosa davvero è trovarsi lì, a pochi passi dalla centrale.


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Chernobyl, il paese che ha dato il nome alla centrale non è in effetti così vicino ad essa, dista circa 12 km; esso è curiosamente tornato a vivere nei tempi recenti. Entriamo nella cittadina e ovunque gente, qualche chiosco e negozi di alimentari aperto; fiori sui davanzali di qualche finestra, in quelle case sovietiche uguali a tante altre, ma ancor più degradate. Allucinante! Qui, all’interno della zona vietata e in un territorio considerato ancora altamente radioattivo, è tornata la vita umana: sicuramente ci abitano i “manutentori”, coloro cioè che si occupano della manutenzione alla centrale e le loro famiglie. C’è poi tutta un’umanità “sommersa”, nascosta, di cui non si conosce bene la vera entità ed identità – si tratta di criminali che da varie parti dell’ex Unione Sovietica hanno trovato rifugio qui, di Ucraini, Moldavi, Russi, Bielorussi che riescono qui a nascondersi e a sfuggire alla cattura delle polizie poiché questo territorio non è controllato. Almeno così mi dicono i ragazzi. E io ci credo, perché qui davvero sembra di essere fuori dalla civiltà, in un microcosmo autonomo, staccato dal resto dell’Ucraina e del mondo. Attraversiamo la cittadina con calma e ci fermiamo qualche minuto davanti al monumento dedicato ai soccorritori della prima ora, a coloro che si gettarono eroicamente all’interno della centrale senza essere adeguatamente protetti, quel 26 aprile 1986, e che per due settimane si alternarono nelle operazioni di spegnimento delle fiamme (ben due settimane ci sono volute per spegnere il fuoco!): costoro sono tutti morti…


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...per la strada principale di Chernobyl...


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Il monumento ai soccorritori.


In breve Chernobyl è lasciata alle spalle. Si aprono a destra e a sinistra della strada campi brulli a perdita d’occhio, dal terreno irregolare, tutti a cumuli di terra, punzecchiati di cespuglietti e betulle sparse qua e là e disseminati di inquietanti cartelli col simbolo della radioattività, quasi come fossero dei campi minati e quei cartelli ad indicare la presenza di mine ovunque. Un paesaggio a dir poco agghiacciante! Qualche chilometro più avanti uno strano ronzio che si fa sempre più pressante man mano si prosegue, ci sorprende e ci scuote le orecchie, si intravvedono diversi tralicci mastodontici che collegano tra loro cavi elettrici ad alto voltaggio e capisco che il rumore proviene da lì, ma non riesco a spiegarmi il perché di questo fenomeno. E io che pensavo che qui manco ci fosse più l’energia elettrica…la vista poi impallidisce poco più avanti quando in lontananza, oltre ai campi, dietro alla folta vegetazione spunta la sagoma della ЧАЭС (la centrale nucleare di Chernobyl), vedo l’edificio di colore rosso e bianco e il sarcofago del reattore, e le gru intorno (perché come è noto si lavora ancora di tanto in tanto intorno al reattore 4 della centrale). Impallidisco e una mitragliata di brividi mi assale per tutto il corpo. Per diversi secondi non riesco a distogliere lo sguardo da essa…


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La centrale di Chernobyl...


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Poco più avanti il bivio stradale, da una parte, a destra si andrebbe alla centrale, ma la strada è presidiata da una misera pattuglia della militsja che impedisce di procedere, la centrale è luogo vietato ai non addetti, anche in questo giorno; a sinistra invece si va in direzione di Pripjat’. Prendiamo questa strada, e in qualche minuto ci imbattiamo nel cippo con la scritta Pripjat’.


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Pripjat’. Penso al destino di questa città. Fondata dal nulla nel 1970 e costruita sulle sponde dell’omonimo fiume, a 2 km circa dalla centrale, esclusivamente per dare alloggio ai lavoratori della centrale e alle loro famiglie ed abbandonata nel 1986: 16 anni di vita. Una città che è durata solo 16 anni! Da tutta l’Urss sono giunti qui operai, ingegneri, architetti, tecnici con le loro famiglie per scelta o perché spediti qui dalle autorità, ma comunque sia con la speranza di un futuro tranquillo e prospero. Per la maggior parte giovani, tanto che nel 1985 una rivista di Kiev aveva pubblicato un ritratto della città, dipingendola come angolo felice dove molti giovani sovietici hanno legato i propri destini a quello della centrale. Ahh che destino funesto…erano in 49.000 abitanti quando è scoppiata la catastrofe!

La desolazione è ora dominante qui; ahimè anche all’ingresso della città c’è la militsja e non si entra! Davvero un peccato non poter girovagare per le strade vuote, vedere da vicino quell’immagine “storica” (famosa probabilmente a tutti) che ho nella mente delle giostre e delle altalene abbandonate, ma il pericolo di crolli di cornicioni è troppo alto e da quest’anno le autorità hanno stabilito il divieto di entrare, per evitare che la gente possa salire ai piani delle case ed entrare in quelli che erano i suoi appartamenti (tra l’altro era anche il nostro obbiettivo) e dunque incorrere nel rischio che possa succedere qualcosa di spiacevole. In questa città non cambia niente da anni; dal 1986 è rimasto tutto così come è stato lasciato dopo il repentino abbandono da parte della cittadinanza. Anzi, ogni anno è sempre peggio e le condizioni degli edifici sono sempre più precarie. Non rimane altro che girarci intorno alla città, costeggiando il reticolo di filo spinato arrugginito e bucato, fino al cimiterino che dista poco lontano. Qualcosa si riesce a vedere e quel qualcosa non ti lascia certo indifferente…mentre passeggiamo vedo diversi edifici in condizioni terribili, quasi ci fosse passata una guerra qui: finestre rotte, dove esse sono rimaste; balconi devastati, pareti scrostate, case sventrate… E tutto intorno alle case una vegetazione intensa e disordinata che irrompe sventrando l’asfalto vecchio delle stradine e dei marciapiedi e cresce sempre più folta ed incontrollata.


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...passeggiando ai margini della città fantasma di Pripjat'...


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...e ancora uno slittino abbandonato...


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Qui, mentre passeggiamo, Tanja mi racconta di quei tragici giorni, lo fa senza lasciar trapelare alcuna emozione, come se fosse il racconto di un ricordo di un momento passato come tanti altri. Di quando solo due giorni dopo lo scoppio le autorità, che si erano rese conto della tragicità della situazione, comunicarono via radio alla popolazione – ignara di cosa fosse successo – di raccogliere il necessario personale per trascorrere un paio di giorni nel bosco, come se si trattasse di un’esercitazione militare in cui prende parte anche la popolazione cittadina, che poi tutti sarebbero rientrati nelle proprie case; di raggrupparsi fuori dai portoni degli edifici e di salire sugli autobus predisposti a trasportarla via. Ebbene non rientrò più nessuno…e anche a Tanja e alla sua famiglia fu assegnata una nuova destinazione di vita. Qualche anno dopo parecchia gente che abitava a Pripjat’ è riuscita in qualche modo a rientrare in possesso dei propri valori che erano rimasti negli appartamenti (venivano dati permessi speciali per mettere piede nelle proprie case e poi uscire); restò il divieto di portarsi via i tappeti poiché pregni di radioattività. A questo proposito Tanja racconta una storia agghiacciante che ha per protagonista una famiglia, sua vicina di casa di Pripjat’, che riuscì a portare via un tappeto dall’appartamento – quello più amato dalla figlia, che allora, al momento dell’evacuazione della città era piccolina. Ebbene quella figlia è morta a 15 anni per avere nella sua nuova dimora tenuto sempre vicino quel tappeto…
Arriviamo al cimitero di Pripjat’, fa effetto vedere quelle lapidi e quelle foto dai colori sbiaditi di quei morti. Le date delle morti si fermano come per incanto all’aprile 1986; nessuno qui è stato sepolto dopo la catastrofe. Vedo gente che in silenzio è raccolta intorno a quelle tombe; alcuni mangiano, altri le puliscono e depositano fiori. Rientrando verso la macchina, parcheggiata al di fuori dell’ingresso della città bloccato, entriamo nella “avtostancija” (la stazione degli autobus di Pripjat, che era stata costruita fuori dalla città). Qui si può entrare liberamente: dentro distruzione e abbandono! Vedo le cabine telefoniche gialle del tempo sovietico, vedo gli armadietti del deposito bagagli arrugginiti e spalancati, vedo le casse e gli sportelli per le informazioni…sembra di trovarsi in un’ambiente dopo un bombardamento!
Rientriamo alla macchina, io sono zitto, davvero senza parole!


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La avtostancija di Pripjat'.


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Il ritorno è veloce, non vedo l’ora di uscire da questo territorio strano, sento uno strano malessere e un senso di disagio. Mi dicono i ragazzi che appena arrivo a casa è consigliabile farsi una bella doccia e lavare i vestiti che indossavo durante l’escursione. Una piccola precauzione igienica, non si sa mai…

Alla barriera la macchina viene fermata e al nostro turno un uomo con un strano aggeggio in mano che pare una specie di aspirapolvere ci fa scendere, ci passa quello strumento sopra i piedi, lo passa nel salone della macchina in particolare sopra i tappetini e nel bagagliaio, controlla che non abbiamo trasportato via niente dalla zona contaminata e, dato che è tutto a posto, ci lascia uscire. Quel marchingegno è un dosimetro come mi dice Vova, serve per misurare il livello di radioattività. Fortunatamente non siamo radioattivi, e in un attimo siamo fuori.

Per tutto il resto della giornata strani pensieri e suggestioni mi lasciano di cattivo umore. Mi dispiace non essere entrato a Pripjat’, ma tutto sommato va bene così. Ancora una volta, per l’ennesima volta, mi sorprende il fatalismo di questa gente che riesce ad accettare con indifferenza anche catastrofi di questa entità.

Credo che in quel posto non ci tornerò mai più.



Gringox


gringox [ 01 Luglio 2016, 14:09 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 17/12/12.


Reduce dall'ultima trasferta dell'anno 2012...forse una delle più dure e impegnative di tutti questi anni di vita e lavoro in Ucraina, per la pericolosità delle strade a causa delle grandi nevicate di questi ultimi giorni.



strada

Un tratto della strada che ho percorso da Ivano-Frankovsk a Kiev. Ci ho messo oltre 14 ore di tempo per percorrere i 600 km che separano le due città.




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...attraversando un paesino coperto di neve...i carretti trainati dai cavalli d'inverno si trasformano in slitte...




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tramonto

Un momento di romanticismo per "pisciare" (a -15°) e per godersi un meraviglioso tramonto invernale.




orme

...sprofondando nella neve...






Gringox


gringox [ 01 Luglio 2016, 14:11 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 23/03/2013.



Benvenuta primavera Kiev!!

23 marzo 2013...ecco il risultato del ciclone balcanico.

Fuori è tutto bloccato, non passa una macchina per la ul. Bubnova, e neanche lo spazzaneve. Sono bloccato al Quartier Generale senza possibilità di uscire, per fortuna ho scorte a sufficenza per trascorrere il weekend tranquillo


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Il davanzale della cucina del Quartier Generale del Gringox d'Ucraina...


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Vista sulla ul. Bubnova dalla finestra della cucina del Quartier generale...


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Il cortile del Quartier Generale...





Gringox


gringox [ 01 Luglio 2016, 14:12 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 23/03/13.


E' veramente incredibile. La neve continua a cadere, è due giorni che fa bufera di neve con raffiche di vento in stile bora, davvero sembra di essere in alta quota, questo vento è roba da montagna...lo stato d'emergenza è decretato, la gente cammina in mezzo alla strada perchè i marciapiedi sono impraticabili.
Pochissime macchine circolano.

Ecco altri momenti della giornata odierna:


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Il Gringox di ritorno dal supermercato. Nonostante tutto dovevo comprare il latte e ho deciso di sfidare il tempo...


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La Ul. Vassilkovskaja e il sentierino di neve sul marciapiede.


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Un'ambulanza impantanata nella neve, poveretto chi sta là dentro...


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La montagna di neve lungo il cancello del Quartier Generale del Gringox d'Ucraina.


...se si pensa che siam al 23 marzo....

Io in 8 anni di vita in Ucraina una cosa così non l'ho mai vista...


Gringox


gringox [ 01 Luglio 2016, 14:14 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 13/12/13.


In tutto questo trambusto ucraino, in mezzo a questa "rivoluzione-teatrino" ieri, domenica 15 dicembre 2013 è avvenuto un significativo momento, intenso nella sua rapidità d'esecuzione, triste come sempre nelle situazioni di addio; penetrante nel suo coinvolgimento emotivo...

La partenza del caro Bando80 da Kiev che abbandona la vita ucraina per tornare nella Patria italica, dove lo aspetta un nuovo lavoro e una nuova attività.

L'ho accompagnato in aeroporto e mentre guidavo pensavo all'anno e mezzo in cui il Bando con la sua spontaneità, col suo entusiasmo, con la sua voglia di vivere intensamente ogni momento di questa esperienza ucraina, ha fatto parte della "base kievliana del Forum" e vissuto con me ed altri gloriosi momenti di vita ucraina.

E così un altro amico se ne va... in questi ormai 9 anni di vita in Ucraina questo è il terzo addio di un forumista, di un amico che cambia vita e che lascia Kiev procurandomi una tristezza interiore ed un certo senso di solitudine. Dopo il caro vecchio Cagliostro (l'ex webmaster del Forum - colui grazie al quale io sono giunto qui nel lontano marzo 2005) che è tornato in Italia; e dopo il carissimo Alan (Alanddd2001 nel forum, che ora da due anni vive in Germania)... è il turno del caro Bando.

E la "base kievliana" di nuovo si riassottiglia: restiamo io, il Fezol e il Pero!!

In bocca al lupo caro Bando!

Un forte abbraccio,

Gringox


gringox [ 04 Luglio 2016, 20:24 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 05/02/2014.



Eccomi qui, reporter per un giorno. Dalla prima linea dei Berkut, a 30-40 m. dalle prime barricate dei rivoltosi.


Grazie al permesso ottenuto dal ministero degli Interni entriamo nel territorio gestito dalle forze dell’ordine. Qui nessun civile entra senza l’autorizzazione. Ci portano i responsabili della sicurezza con una macchina coi vetri tutti neri.

Subito mi accorgo di un grande trambusto, vedo mezzi blindati parcheggiati in orizzontale sulla strada a mò di posto di blocco) e soldati ovunque.


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L’atmosfera che si respira è pesante anzitutto per l’odore di affumicato che aleggia tutt’intorno. Sopravvive ancora il retrogusto dei copertoni bruciati dai manifestanti duranti i giorni dei sanguinosi combattimenti la scorsa settimana. Adesso brucia la legna nei falò che ardono dentro dei bidoni di tolla sparsi qua e là per la strada sconnessa (per la neve e per il lastricato divelto dai combattimenti) di ul. Grusheskogo; per terra è scivolosissimo , a tratti, si cammina su delle lastre di ghiaccio appena appena cosparse di segatura sopra. Intorno ai fuochi si scaldano questi ragazzi, nonostante oggi il freddo non sia così pungente come qualche giorno fa. Pesante ancora per l’assordante volume con cui dal “kamaz” posteggiato qui accanto, echeggiano canti patriottici sovietici misti a canzoni popolari ucraine e russe, alternate a qualche pezzo di musica pop russa dei nostri giorni. Questa strategia dell’assordamento funge da contraltare al tentativo dei rivoltosi di far sentire alla militsja le notizie e le immagini che vengono proiettate da un artigianale proiettore verso le fila dei Berkut. E serve ovviamente per “pompare” i soldati e mantenerli con l’animo giusto. Anche questa è una guerra che si combatte da giorni tra le opposte barricate: la guerra della propaganda!


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Più leggera invece è l’atmosfera psicologica tutt’intorno. Almeno in apparenza. Sembra di essere in un’accampamento di soldati delle retrovie, in guerra, ma in un momento di tregua in cui non tuonano i cannoni. Li vedi questi ragazzi giovanissimi che passano il tempo in qualche modo in attesa di ordini. Chi telefona al cellulare, chi fa foto, chi si scalda intorno ai fuochi, chi con l’accetta spacca dei tronchi di legno per fare degli sgabelli, chi gioca a carte. Poi ci sono quelli della prima fila, ritti in piedi con le mani poggiate sui loro scudi metalici, la visiera del casco giù e lo sguardo serio. L’umore in generale è buono. Tutti comunque sono ben bardati, con giubbotti antiproiettile, casco ed alcuni con passamontagna in testa che lascia intravvedere solo gli occhioni grandi per la maggior parte azzurri e vivaci. Si notano le diverse divise di questi uomini del ministero dell’Interno: ci sono i Berkut, le forze d’elite della militsja, omoni giganteschi che paiono ancora più grossi nella loro uniforme zebrata di colori blu e grigio, e ci sono le forze speciali (V.V. – vnutrennye voiska) che hanno invece la divisa tutta nera e il casco nero.


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Al di là della prima linea, a 30 m., ecco le barricate, i resti delle marshrutke incendiate e rovesciate, le mura di copertoni e la prima linea avversaria. Là tante bandiere ucraine che sventolano, ne ho contata solo una europea, le altre sono soprattutte quelle rosso-nere dell’esercito di liberazione di Bandere. Si vedono le sentinelle coi binocoli, che scrutano i movimenti della militsja e sono pronti nel caso ad avvisare la retroguardia. A quel punto mi spavento, ho la sensazione di essere visto, credo che per un pò di tempo sarà meglio non mettere piede dall’altra parte del centro, non si sa mai che mi arrivi una bastonata in testa...
Tutt’intorno la devastazione. Cartelli pubblicitari divelti, a fianco un palazzo tutto nero porta i segni dell’incendio; vedo anche una scritta ristorante pure incendiata.


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Ad un certo punto facciamo la conoscenza con un capitano delle forze del ministero dell’interno. Un’ottimo inglese e una sveltezza e una preparazione nel dare risposte che mi sorprende. Risponde come probabilmente avrebbe risposto un qualsiasi poliziotto in servizio in un qualsiasi stato del mondo. Con diplomazia, con pacatezza, ma questo capitano è particolarmente simpatico. Ha l’aria di essere una buona persona. Ci racconta gli attimi della guerriglia, la sua versione (che è quella ovviamente della militsja in generale) di colui che è stato aggredito e ha dovuto reagire, la sua speranza che tutto finisca presto e pacificamente, il suo totale disinteresse per la politica o per un qualche partito o personaggio, la ferma condanna del radicalismo di una certa parte dei manifestanti. Si dice invece assolutamente favorevole alla manifestazione pacifica del dissenso. Ma conclude con il tributo alla deontologia professionale: “io sono qui a tutelare l’ordine pubblico, non in nome di un partito o di un presidente, ma della legge; se arriva l’ordine di agire, lo eseguo”.


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Usciamo dal posto di blocco, rientriamo nella “normalità” cittadina – una città che sembra non accorgersi di questo conflitto nel suo cuore.

Mi porto dietro per tutto il resto della giornata quell’odore di affumicato che ha impregnato i miei vestiti durante l’escursione tra i Berkut, e con l’odore resta anche l’eccitazione e il ricordo di quel momento vissuto dalla parte di qua delle barricate. Dall’altra parte ormai è banale, è pieno di “turisti” che vanno e vengono, di qua invece non è dato a tutti entrarci.


Gringox


gringox [ 04 Luglio 2016, 20:27 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 24/07/2014.



Colgo l'occasione, prima della mia partenza per le vacanze estive italiane, di accontentare un pò il caro Soviet-Fly e chiunque fosse interessato...

Si tratta di foto scattate come spesso ho fatto in passato, durante le mie trasferte in giro per l'Ucraina. Queste in particolare si riferiscono agli ultimi miei viaggi.

1. Transcarpazia. Queste immagini si riferiscono al villaggio di Apsa de Jos, un piccolo paese nella Transcarpazia, al cinfine con la Romania, nel comune di Tjachev, abitato praticamente da rumeni. Non da zingari rom, ma da romeni d'Ucraina.
Le case - o meglio dire le reggie - che questi romeni si costruiscono, sono assai strane, come strani sono loro.

In sostanza sono case che loro non finiscono mai di costruire, sembra appositamente, non so bene il motivo; loro vivono solo in una stanza o in poche stanze finite al piano terreno, mentre il resto della casa resta vuota.

Questa gente praticamente non la vedi in giro. Dicono che si siano arricchiti dopo il crollo dell'Urss col traffico delle noccioline; altri grazie al contrabbando lungo il confine romeno-ucraino, o ungherese-ucraino; altri grazie alla lavorazione dei vestiti da sposa (altro business di queste aree).

Curioso è lo stile di queste regge.

Il paese è un paese fantasma, ogni volta che ci passo in macchina (e più o meno lo faccio 2-3 volte all'anno), provo un senso di inquietudine, roba da film horror...

Quest'anno mi sono deciso di fotografare queste case, che comunque a memoria, è da anni che le vedo sempre in quelle condizioni di "lavori in corso", anche se i lavori pare non procedano.


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2. Sumy.


Questo è il centro di Sumy, a nord-est di Kiev verso il confine con la Russia. La città è una tra le più brutte dell'Ucraina, ma il centro è carino.

Questa città è famosa in Ucraina per la fabbrica Frunze, che produce tubature, che si trova nel centro della città e dà lavoro a diverse migliaia di Sumchany. E' praticamente una cittadella fortificata dentro la città... ma è una fabbrica (foto della fabbrica non ne ho).


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Sopra la piazza "soviet" con al centro il palazzo del governo della regione.


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Questo sopra è il Tsum di Sumy.



Sotto le immagini della "shashlikata" nella dacia di un mio cliente di Sumy. Qui manca tutto, energia elettrica, canalizzazione, infrastrutture varie, il bagnetto è fuori, dal pozzo tiri fuori l'acqua da bere... ma sei totalmente immerso nella natura!

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3. Rovno. Nella dicoteca "Octant", un postaccio a fianco dell'hotel Turist... mentre sorseggiavo la mia vodkina al bancone, ha meritato la mia attenzione questa simpatica proposta di altrettanto simpatici ed attualissimi coktail


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I coktail "Slava Ukrainy" da 30 grn e quello "Morte ai nemici" da 55 grn.



4. Carpazi. Qui sono a Salvskoe in un posto dove ero già stato anni fa. Approfittando dell'estate e di un pò di tempo libero dopo gli appuntamenti coi clienti a Lvov, mi son fatto un giretto in montagna...


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La vecchia seggioviettina che traballa di brutto e arranca, ma ti porta fino in cima...


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...e in cima un bel rifugetto stile alpino, in legno e con una bella panoramica.


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Ciao a tutti,


Gringox


gringox [ 04 Luglio 2016, 20:28 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 29/03/2015.


gringox ha scritto: [Visualizza Messaggio]
Domenica 20 Marzo 2005 si decolla...

L'amico Giuseppe (Mr. G.), insieme alla fedelissima gringax mi accompagnano a Malpensa e mi sostengono moralmente e fisicamente (dato il pesante ed ingombrante bagaglio che mi e' addirittura costato circa 300 euro di sovrappeso! - come ben descritto dal Giusy nel post "Passaggio importante"). Gli ultimi sguardi prima del controllo passaporti e poi via; in perfetto orario decollo alla volta di Budapest e poi Kiev.
All'arrivo a Borispol' (aeroporto di Kiev) mi aspetta il mio nuovo collega Oleg con sua moglie e l'Ucraina mi accoglie col suo residuo d'inverno: gelo, vento forte e neve... appena qualche ora prima Milano mi salutava con i suoi 15 gradi di prima mattina...e siamo al 20 Marzo!!!

Fortunatamente niente problemi di sdoganamento, niente storiacce coi bagagli...tutto andato liscio dal punto di vista burocratico.

Dopo un'oretta circa eccomi nel mio nuovo temporaneo appartamento. Una casetta tutta nuova, in stile italiano, che si trova proprio nel territorio degli uffici e comodissima quindi per il mio inserimento "immediato" nello spirito della mia nuova attivita' qui in Ucraina!

La prima sera la trascorro col mio amico webboss, Stefano e col mio nuovo boss italiano, Marco a casa di quest'ultimo con un perfetto "benvenuto" in stile locale a suon di "Perzovka"...il risultato finale ve l'ha poi raccontato il webboss...macchina sequestrata per guida sotto l'effetto dell'alcohol, hehehehe.

Ehh gia' amici, qui non si scherza propio. Ti beccano praticamente sempre.
Addirittura mi e' capitato mercoledi' di andare fuori coi ragazzi qui al ristorante e poi in un klub fico di Kiev e di darci dentro ben benino con l'amichetta spensierata vodka e poi, all'uscita, l'amico che doveva stare al volante, consapevole del pericolo, ha chiesto ad un taxista di portarci a casa con la macchina del mio amico, gli ha dato le chiavi e il taxista ci ha portato tutti a casa. Poi ha chiamato il "suo" taxi e si e' fatto venire a prendere...roba da russi!!

gringox




Dieci anni fa il mio arrivo a Kiev.


Che emozione rileggere queste righe che risalgono a 10 anni fa.

Ricordo che quando sbarcai a Kiev, quella domenica 20 marzo 2005, nevicava fitto fitto e faceva freddo; e mi fece così effetto provare subito sulla pelle quel clima così diverso dall'Italia che avevo da poco lasciato, tanto che tuttora, ripensando a quel momento, ricordo quei brividi di freddo come se fosse ieri... oggi, a distanza di anni, abituato come sono al ciclo delle stagioni qui, il clima è forse l’ultimo dei miei pensieri… anche se devo ammettere che negli ultimi anni esso non è più così rigido nel suo schematismo stagionale come allora.

Di quel giorno mi è rimasto il biglietto aereo Milano Malpensa-Budapest-Kiev di sola andata (allora non si volava ancora direttamente con l’Italia, e men che meno esisteva la Wizz Air; solo qualche anno dopo avrei avuto l’emozione, per una pura coincidenza di date, di capitare sul primo volo diretto Alitalia Kiev-Milano Malpensa – volo che tempo dopo venne cancellato; e solo anni dopo invece è apparso il “law cost” Wizz Air); ed un Corriere della sera ormai un po’ ingiallito, che conservo come una reliquia, con una prima pagina dedicata al “solito” Berlusconi che allora era ancora in piena forma.

Lungi dagli sconvolgimenti politico-sociali di questo ultimo anno e mezzo che hanno purtroppo trasformato questa città – Kiev – e questo Paese in un relitto in preda alla bufera ed alla deriva, il mio ricordo va alle sensazioni di allora, di quei primissimi giorni kievliani, alla “pelle” , al “tatto”, agli occhi di quel Gringox che iniziava la sua nuova vita e sembrava un bambino curioso che aveva ottenuto il suo agognato “giochino” e stava iniziando a toccarlo.

Se ripenso a quei primi passi, a quella spaesatezza per la novità che da un lato mi preoccupava, ma che dall'altro rappresentava l'accettazione entusiastica della mia sfida russofila, della concretizzazione del mio sogno russofilo, che finalmente diventava realtà, non posso far altro che commuovermi sinceramente.

Quanta acqua sotto i ponti è passata in questi anni... quanti legami umani in quel preciso momento di passaggio sono cambiati, quanti se ne sono creati; altri si sono rotti. E penso anzitutto a ciò che lasciavo in Italia allora, ai miei genitori che fino all’ultimo ancora non realizzavano cosa potesse significare non avermi più vicino; alla Gringax (la cui storia sarà destinata a finire, tramutandosi però nel corso del tempo in una profonda e fraterna amicizia); agli amici della mia compagnia che improvvisamente non avrei più visto come al solito nei finesettimana. Penso al primo “webboss” (il webmaster) del nostro Forum russia-italia, che avevamo da poco creato; dopo mesi di corrispondenza virtuale, iniziata già nel Vecchio Contenitore, finalmente conoscevo di persona colui che ha di fatto reso possibile la realizzazione del mio sogno russofilo (e qui si ritrova il motivo originario della mia eterna riconoscenza verso il Forum e del mio affetto profondo verso di esso); egli è stato per me un “maestro” di vita e un buon amico nei primissimi tempi di vita kievliana. Successivamente, anni dopo, il suo definitivo rientro in Italia ha provocato la fine della nostra frequentazione. Penso ai colleghi ucraini del nuovo lavoro, alle primissime conoscenze nate qui in terra ucraina con gente locale e con altri Italiani, ai clienti delle varie città ucraine che poco alla volta iniziavo a girare per lavoro. Fino poi ad arrivare alla “Pesciolina”, che diversi anni dopo avrei conosciuto in uno dei “klub” che frequentavo, e che doveva essere una nuova “preda” come tante altre, ma che – ironia della sorte per uno come me che credeva di fare il “farfallone” in eterno – sarebbe invece poi diventata la donna della mia vita…
Il fattore umano è sempre stato centrale nella mia esistenza e, sin da subito, anche la mia nuova vita a Kiev cominciava a ruotare intorno ad esso, arricchito qui da un aspetto curioso, tipicamente russo, di spontaneità e improvvisazione delle relazioni umane: ed ecco che, sin dalle prime uscite solitarie a zonzo dei primi giorni “esplorativi”, capitava di socializzare in modo estemporaneo e casuale, così “naturalmente”, intorno ad una vodka, e di trascorrere incredibili serate con perfetti sconosciuti, con un coinvolgimento tale che in breve pareva di trovarsi insieme ad amici di una vita. Ed io ricordo quanto “godevo” di questo approccio umano che mi faceva stare bene dentro. Ed in alcuni casi da questi incontri, nel corso del tempo, sono venute davvero delle buone conoscenze…

Ricordo i primi passi nel mio nuovo lavoro, nell’ufficio con i nuovi colleghi ucraini, che ora, a distanza di anni sento ormai come fratelli, parte di una grande famiglia. Subito mi colpì la totale diversità dell’impostazione lavorativa, più “primitiva” se vogliamo nell’aspetto gestionale, ma decisamente più a misura d’uomo, non rigida, lontana anni luce dalla freddezza che respiravo nell’ufficio milanese del mio precedente posto di lavoro. Oggi questo ambiente è ormai diventato una parte così integrante della mia vita che farei fatica a staccarmene…

E poi quel Quartier Generale del Gringox d’Ucraina, che doveva essere “nido” temporaneo, in attesa di una soluzione abitativa diversa per me, è diventata invece la dimora sicura e confortevole nella quale oggi, dopo 10 anni, tuttora vivo. Prima solo soletto, e questo posto mi pareva una reggia; da qualche anno insieme alla mia famiglia che si sta ingrandendo poco alla volta, rendendo l’ambiente un po’ strettino e un po’ scomodo. Ma nonostante tutto, sinceramente, ancora non riesco a pensare di dover abbandonarlo…
Ahh, se le mura del Quartier Generale potessero parlare… quanti racconti, quanti aneddoti rivelerebbero… e molti forumisti sanno di cosa parlo perché hanno avuto in questi anni la fortuna di essere ospitati e di poter vivere le emozioni che in esso si sono sempre create.

Ricordo le prime emozioni legate alla quotidianità, prima tra tutte quella della comunicazione in russo. Di colpo abbandonare la propria lingua madre natia ed impostare la vita utilizzando l’amato e sempre percepito come proprio russo. Con la specificità – tipica di questo Paese – dell’aggiunta della lingua ucraina che, a quel tempo, mi risultava così strana, così curiosa… ed in un certo senso mi attirava, tanto che poi, qualche tempo dopo, avrei preso anche delle lezioni di ucraino perché mi sembrava giusto avere comunque delle basi di comprensione. Mai avrei immaginato che oggi, passato tanto tempo, l’ucraino mi sarebbe entrato in testa così inconsciamente, tanto che posso tranquillamente dire di capirlo bene e di parlarlo un po’.
Ricordo come “godevo” ad ascoltare la radio in russo, e subito mi affezionai a “russkoe radio”, che trasmetteva (e trasmette tuttora) solo musica russa… Tuttora in macchina ascolto praticamente sempre “russkoe radio”.

Oggi tutto è così talmente normale, automatico e “ovvio”, che ho la sensazione di non essere neppure più uno straniero, ma un “locale” che ha una qualche origine italiana e che per questo possiede la perfetta conoscenza della “seconda” lingua (l’italiano).

Ricordo le prime difficoltà organizzative: la stranezza di abituarsi ad avere a che fare con gli “obmenniki” (i cambi valuta) e ad impratichirsi col cambio euro/grivna, l’affrontare i prezzi in grivne, la “conoscenza” con i supermercati, con una disposizione degli scaffali e un assortimento di prodotti così diversi da quelli a cui io ero abituato in Italia. Mi ricordo come mi colpiva il reparto delle vodke, per ampiezza pari a quello dei vini nei supermercati italiani, con bottiglie di tantissime marche e di diversa dimensione… ed io mi soffermavo a guardarlo e dentro di me sorridevo…
Mi ricordo, a questo proposito, l’avidità di voler curiosare e provare tutte quelle novità alimentari, che già conoscevo in parte, ma che provocavano in me euforia al pensiero che ora avrei avuto tutto il tempo per assaggiare ciò che volevo (latticini, succhi, “pescetti”, vodke, birre, gastronomia varia, “salaty”, ecc…), invogliato anche dai prezzi che mi parevano così incredibili (e di fatto erano davvero bassi rispetto a ciò a cui ero abituato a Milano). Mi ricordo la “pivo” Obolon’ premium – quella con l’etichetta oro – la birra che doveva essere sempre presente nel mio frigorifero di casa…

E poi le difficoltà logistiche: prendere dimestichezza con il muoversi in città, i gettoni di plastica blu del metro, le marshrutke gialle, arrugginite e cigolanti, che sprizzavano a forte velocità talvolta non fermadosi agli “stop” o che sgattaiolavano sopra i marciapiedi per aggirare le code di macchine ferme al semaforo. Nella totale indifferenza della gente. Mi divertiva quel sistema così inusuale per me di pagamento del pedaggio facendo passare il denaro di mano in mano tra i passeggeri finchè non arrivava al conducente che, nel caso ce ne fosse stato bisogno, faceva ritornare nella direzione inversa il resto, e poi ripartiva. E ricordo la timidezza delle primissime volte in marshrutka nell’avvisare il conducente, praticamente urlando, della mia intenzione di scendere: “na ostanovke pozhalujsta!”… ma tutti facevano così e presto mi sarei abituato anch’io.
Per tanti mesi ho girato in marshrutka e metro, e mi è servito davvero tanto per conoscere la città; la macchina mi è arrivata solo parecchio tempo dopo. A distanza di anni, ora, la metro la uso ancora qualche volta, soprattutto quando devo uscire sapendo di trascorrere una serata “alcolica”; sulle marshrutke invece praticamente non salgo più da anni.

E che effetto che mi fecero da subito quei marciapiedi dissestati, pieni di buche, in cui tante volte ho inciampato… per non parlare delle strade, disseminate di voragini, dove zigzagavano vecchie Zhiguli “scarcassate” con le targhe ancora sovietiche (quelle col fondo nero e il numero bianco in rielievo) e sfrecciavano mastodontici Hammer coi vetri neri, macchine che prima d’allora non avevo mai visto in Italia; subito in quei primi giorni mi rendevo conto dello stridente contrasto sociale e dei forti paradossi di questa società. Oggi di Zhiguli se ne vedono ancora, ma sempre meno; pure gli Hammer sono scomparsi perché fuori moda e troppo dispendiosi, lasciando però il posto ad altri macchinoni, ai nuovi modelli di Bmw, Mercedes, Lexus, ecc.

Beh, in generale, non che fossi totalmente nuovo al mondo post-sovietico, anzi… (avevo 30 anni allora, e alle spalle già diverse esperienze russofile; avevo già vissuto per diverso tempo in Estonia a metà degli anni ‘90, e a Mosca nella fine degli anni ‘90, e avevo già viaggiato per anni attraverso i paesi delle Russie e dell’Asia Centrale); conoscevo dunque questa realtà – perché in fondo, con le dovute differenze di sviluppo, di etnicità, di dimensioni, non c’erano abissi di diversità nei meccanismi cittadini tra una Dushanbè e una Kishinev, ad esempio, o tra una Tbilisi, una Kiev, una Gomel’, una Juzhno-Sahalinsk, una Ashgabad – e dunque sapevo a cosa andavo incontro, e sapevo di “amare” questo mondo – in fondo questa è la mia russofilia, il mio “godere” di una quotidianità bizzarra e apparentemente “sregolata” come quella che esiste qui; non ero insomma un novellino, ma mi rendevo conto sin dai primi giorni a Kiev che questa volta si trattava di una svolta definitiva o, se non altro, di un cambiamento di vita non certo di breve termine.
A dir la verità, sin dall’inizio, non ho mai percepito questo aspetto della durata della mia permanenza: venivo in Ucraina per restarci. In cuor mio era quello che volevo; non fare un’esperienza, ma cambiare la mia vita in senso russofilo. O ritrovare me stesso. Non ho mai pensato a “fare soldi”, né a fare una carriera, tanto per fare un esempio; non ho mai avuto l’idea di venire qui come “expat” per un periodo e poi andarmene; non mi sono trasferito inseguendo il sogno di un amore per unirmi ad una donna amata; non voglio per carità esprimere dei giudizi su chi lascia il Paese natio per i motivi appena indicati, ma per me era diverso. Forse in un’altra, precedente vita ero nato qui e in qualche modo tornavo alle origini; Già da quei primi momenti mi sentivo “a casa”, non ero uno straniero…

Ricordo le mie prime frequentazioni di locali. Cercavo in zona, per non allontanarmi troppo dal Quartier Generale e perché sapevo che qui, abbastanza lontano dal centro, avrei trovato la situazione adatta a me, “soviet” nello stile e nell’atmosfera, come piaceva a me… Una delle prime sere trovai un posticino fantastico che finì per diventare il punto di riferimento delle mie cene solitarie durante le prime settimane kievliane: il “kafè” Natali, un “podvalchik” fetido in ul. Vasilokovskaja, vicinissimo a casa, coi divanetti in pelle rossa e l’odore di stantio che regnava fisso per il mal funzionamento dell’impianto di ventilazione; qui mangiavo quasi sempre una ciotola di borsh o una saljanka, e una “otbivnaja” con patate che navigavano nell’olio; e quando uscivo mi restava addosso sui vestiti il puzzo della cena… Ma mi piaceva, ahh, se mi piaceva… Adesso che ci ripenso, mi pare di sentire ancora l’odore… Oggi il “kafè” Natali non lavora più, chiuso ormai da anni…

Ricordo i “klub” che da subito ho iniziato a frequentare, lontano dalla “movida” del centro, come sempre calamita per turisti, “expat” stranieri o figli degli oligarchi; io cercavo l’autenticità russa, quella che conoscevo e che amavo, nella sostanza, nello stile, nel design; volevo ascoltare la musica russa, “popsa”, “shanson”, “retro”, andava bene tutto, possibilmente anche dal vivo… e volevo essere circondato da gente di quartiere, da studenti di “obshezhitje” (il quartiere dove vivo è noto per essere un quartiere universitario)… Capitai così al Saturn, situato nel parco Golosejvskij, quello che in breve diventò il mio “klub sotto casa”, il mio locale preferito, una sorta di taverna dal sapore caucasico coi tavolini in legno, il palco dove si esibivano le “tsiganki” del gruppo di Petja “Chernij”, tutte coloratissime; ricordo la voce della cantante “cicciona” che perforava i timpani, ma era bravissima. Tuttora, sebbene invecchiata anche lei, la sua voce è sempre micidiale come una volta! Qui potevo ascoltare musica russa “retro” dal vivo, ballare “belye rozy” e invitare ragazze a qualche “lento” romantico. Qui si mangiava (e si mangia tuttora) un shashlik strepitoso!
Oggi il Saturn non si chiama più Saturn, ha cambiato “faccia” nel corso degli anni, “remont” dopo “remont”, ed è diventato un locale abbastanza d’èlite, ma le “tsiganki” cantano ancora e l’atmosfera tutto sommato è sempre quella di allora, ed io continuo a frequentarlo perché a questo posto sono sinceramente affezionato.

Ricordo i chioschetti, il “Meri” in primis, all’incrocio tra la Vasilkovskaja e la “mia” ul. Bubnova; qui facevo i miei “aperitivini” a base di di vodka che veniva versata in banali bicchierini di plastica, stando in piedi, in mezzo a quella fauna umana variegata dove si mischiavano “bomzh”, alkogoliki o semplicemente gente che prima di rientrare a casa era solita “farsi” un 100 g di vodka, per scaldarsi un po’ dall’ultimo freddo di fine marzo. Il “Meri” tuttora, a distanza di 10 anni, è sempre lì, ma a differenza di allora che lavorava 24h, adesso la notte chiude, forse per imposizione comunale in seguito a risse notturne tra “alkogoliki” che sicuramente saranno successe nel corso di questi anni. Io al “Meri” la vodka non la bevo più, ma di tanto in tanto ogni volta che ci passo accanto, quando la mente è predisposta alla nostalgia, ripenso al gusto di quella vodka sulla cui qualità meglio sorvolare… e dentro di me sorrido.

E che dire di quelle vecchiette che lungo la strada vicino ai supermercati o alle stazioni della metro vendevano (e ci sono tutt’ora) le cipolle, le verze e le carote del loro orto, o i “semechki” o le sigarette al pezzo…

Ricordo gli scoiattoli che vedevo arrampicarsi su quegli enormi e vecchi castani al parco Golosejvskij, il parco di quartiere, a 10 minuti a piedi da casa, quello del Saturn; e mi sembrava così strano vedere che in un parco cittadino (sebbene più che un parco sia un bosco in città) potessero così tranquillamente scorrazzare quelle bestiole, e mi fermavo a lungo ad osservarle… ricordo le mie passeggiate nei finesettimana di quella mia prima primavera kievliana, quando mi divertivo a “spinnazzare” le ragazzine sedute sulle panchine che bevevano una birretta e che “ciacolavano” spensieratamente, e che spesso vedendomi passare e notando il mio aspetto “diverso” si mettevano a ridere e bisbigliavano tra loro; oggi, a distanza di 10 anni, il parco è sempre quello, quello cambiato sono io… adesso ci vado correndo dietro al mio figlio grande che va già per i 5 anni e che ama giocare al pallone o spingendo la carrozzina dove dorme felice l’altro figlio che mi è nato 4 mesi fa… e talvolta mi sembra di rivedere quelle ragazzine di allora, ormai diventate madri, che passeggiano con i loro pargoli…

Tanti, tanti ricordi insomma di quei primi giorni kievliani, di quei momenti e di quelle emozioni che non si ripeteranno più ma che resteranno impresse nella mia mente per sempre.

Insomma sono volati dieci intensi e meravigliosi anni. Un quarto della mia vita l’ho trascorso qui, avevo 30 anni quando sono sbarcato a Kiev e mi ritrovo oggi di colpo quarantenne. Quanto tempo passerò ancora qui non lo so, sarà il destino a deciderlo. E molto dipenderà dall’evolversi della drammatica situazione che sta vivendo l’Ucraina oggi. Ma una cosa posso dire con convinzione di quel momento di passaggio di 10 ani fa e di questi anni trascorsi: non ho nulla da rimpiangere e se dovessi tornare indietro, rifarei convintamente tutto ciò che ho fatto.


Gringox


gringox [ 04 Luglio 2016, 20:30 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 30/06/2016.



Ponte della Pentecoste (18-20.06.16).


Quante volte sono passato da qui nelle mie trasferte di lavoro in Zakarpatja (Transcarpazia), provenendo da Ivano-Frankovsk o Chernovcy e dirigendomi verso Mukachevo e Uzhgorod, o viceversa; talvolta, come questa volta, pernottandovi. E quante volte, percorrendo in macchina la strada che costeggia questa strana collinetta di circa 300 m. che sovrasta la cittadina di Hust, con lo sguardo rivolto verso l’alto a cercare di carpire qualcosa di quelle rovine, mi sono detto: “la prossima volta salgo a vederle”... e, puntualmente, ho sempre rimandato... Ma oggi mi sento ispirato, forse grazie ad una serie di coincidenze stimolanti che mi hanno messo l’umore giusto per salire fin quassù e soddisfare dunque questa insistente curiosità: il caldo e la bella giornata dopo la pioggia della notte che ha rinfrescato l’aria, l’ppuntamento col cliente già concluso il giorno prima e il fatto si non averne di nuovi per tutta la giornata che è dedicata al viaggio per arrivare a Ivano-Frankovsk, ed infine il pensiero che oggi è giovedì e ho davanti un week end in montagna sui Carpazi con la famigliola (che mi raggiungerà domattina a Frankovsk in treno) che ha tutte le premesse per essere eccitante e adrenalinico.

Come spesso accade qui in Ucraina ci si ritrova soli in certe situazioni “turistiche”. Il cartello che indica la salita alla fortezza c’è, e c’è anche un ampio parcheggio per lasciare la macchina, ed esso è totalmente libero... Per me questo è il bello di certe visite che assumono un sapore di esplorazione autentica e che ti lasciano addosso una reale soddisfazione. Certo la cosa non va a favore delle casse dello stato la cui economia, a causa della incuranza di quel poco di attrazioni che l’eredità storica gli ha lasciato, perde una sicura fonte di introito, ma tant’è...

Grondante di sudore e con le scarpe tutte vonce di fango, dopo una breve (circa 20-25 minuti) ma faticosissima camminata lungo l’erto sentierino ancora tutto bagnato dopo la pioggia di qualche ora prima, in mezzo ad una intricata boscaglia di vegetazione mista a prevalenza di betulle, malmenandomi senza interruzione con pacche sul corpo per allontanare stormi di voracissime zanzare che, malefiche e feroci, cercano di pungermi, arrivo finalmente in cima alla collinetta e tocco con mano ciò che resta di questa fortezza: le rovine del castello di Hust.

Iniziata la costruzione nel 1090 da parte della monarchia ungherese per difendere la “via del sale” che partiva da Solotvino (il paese non distante da qui dove tuttora ci sono dei laghi di acqua salata ed una zona termale) dalle tribù di origine turca che minacciavano la regione; venne terminato solo nel 1191. Questa terra a quei tempi si chiamava Maramorosh - e tuttora si chiama così la parte romena confinante con la Zakarpatja – ed era abitata da genti di etnia magiara, rumena e slava. Il castello venne poi distrutto in seguito all’invasione dei mongoli e ricostruito nel 1318. Da allora si sono susseguiti diversi tentativi di occupazione del castello che evidentemente svolgeva un ruolo importante per il controllo della regione. Prima i tatari, alla fine del XVI sec.; poi i turchi nella metà del XVII sec.; ma fallirono tutti in quell’intento. All’inizio del XVIII sec. proprio in questo castello venne proclamata l’indipendenza della Transilvania; che durò poco. Nel 1711 esso fu occupato dagli Austriaci, ma poco alla volta la sua importanza strategica diminuiva a vantaggio delle fortificazioni che venivano erette a Kosice (nell’odierna Slovacchia). Pochi anni dopo, nel 1717, il castello fu raggiunto dall’ultima orda dei tatari di Crimea in ritirata dopo le sconfitte subite nella guerra austro-turca, che cercavano di tornare verso la loro penisola sul Mar nero; ma la fortezza non venne assalita.
Il destino infine volle che il castello perì non per opera dell’uomo bensì a causa della forza della natura... fu infatti un fulmine durante un terribile temporale nell’estate del 1766 a colpire la torre del castello, da dove divampò un incendio che lo distrusse per sempre. Abbandonato, inutilizzato e soggetto alle intemperie dei secoli a venire si è dunque ridotto a quel cumulo di rovine che mi trovo di fronte io oggi...


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Le rovine del castello di Hust.


L’atmosfera qui dall’alto è intensa davvero. Non tanto per il paesaggio che si apre agli occhi, che sì è bello, ma nulla di super eccitante; quanto per la realtà selvaggia, il senso di solitudine che ti assale e la mente che ti porta lontano, a quei secoli passati in cui questo posto brulicava di soldati e aveva la sua bella fama come si intende dalla sua storia..., e ti fa riflettere su questa strana area geografica. Non siamo in Scozia, dove è facile incontrare rovine del genere in quelle nebbiose lande, bensì nella particolarissima regione, oggi ucraina, della Zakarpatja (Transcarpazia). Unica “oblast’” ucraina (insieme alla Volinja) che non prende il nome dal capoluogo di regione, bensì mantiene un suo termine specifco, appunto quello di Zakarpatja, cioè “al di là dei Carpazi”. Cosa tra l’altro vera relativamente... “al di là dei Carpazi” lo si può intendere provenendo da Kiev o dalla Russia... ma se si viene da Budapest o da Vienna, beh, sarebbe meglio dire “al di qua dei Carpazi”, oltre i quali si apre l’immensa pianura che porta fino a Mosca...

E dunque qui, facendomi strada tra le ortiche e gli arbusti alti quasi quanto me, girovago per qualche minuto tra questi resti, buttando l’occhio attraverso le fessure che un tempo dovevano essere le finestre del castelllo, verso l’orizzonte che si estende lontano; verso ovest, poco oltre la città, intravvedo il fiume Tissa che si snoda in quel varco naturale tra le due colline chiamato “porte di Hust” (Hustskie vorota) e che segna il confine con la pianura ungherese; e poi verso est dove si stagliano le sagome dei Carpazi, che in linea d’aria non sembrano poi così vicini. Sotto di me la simpatica cittadina di Hust.


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La cittadina di Hust e il fiume Tissa che si snoda tra le "porte di Hust".


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E mentre ammiro il panorama penso proprio a questa strana ed unica terra. Una terra da sempre di confine, che è stata di tutti e di nessuno: ungheresi, mongoli, romeni, turchi, austriaci, slavi... fino poi a diventare estremità dell’Unione Sovietica ed oggi regione periferica dell’Ucraina. Il centro dell’Europa centro-orientale (nulla di più azzeccato in questo gioco di parole). Ed oggi rusini, ucraini, romeni, ungheresi, russi, slovacchi e polacchi si mischiano qui ed abitano questa regione.

Forse è proprio questa sua essenza di terra di confine che mi attira; questo intreccio di storia, di razze, di guerre e di miscugli di lingue, così diverse tra di loro, suscita il mio interesse. Nessuna regione dell’Ucraina mi coinvolge così emotivamente nella sua unicità come la Zakarpatja. Ed è curioso come le terre di confine, soprattutto quelle “orientali”, hanno da sempre prodotto un fascino magico in me, sin da quando ero piccolo e “tendevo” verso il confine orientale italiano che ci divideva dalla Jugoslavia...

E qui, in quella che popolarmente è oggi nota come la “solnichnaja Zakarpatja” (soleggiata Transcarpazia), per l’esposizione al sole che scalda la vasta pianura e le dolci colline, e che favorisce una florida produzione di vino e di cognac, la sensazione della zona di confine è più forte che mai: curioso e stimolante per me è “viaggiare” in macchina tra Ungheria, Romania, Slovacchia e fino alla Polonia, passando ovviamente da Ucraina e Russia, tutto nell’arco di poche decine di chilometri e sempre restando in territorio ucraino, con un semplice “clic” per cambiare le frequenze radio. Il classico “giochino” che mi diverto a praticare in queste circostanze è quello di mettere alla prova il mio talento verso le lingue... Ed ecco che se qualcosa riesco a carpire dello slovacco e un qualcosina del rumeno, con l’ungherese è davvero impossibile... una lingua assurda e indefinibile che mi irrita e che non riesco ad ascoltare per più di qualche secondo...

Poco più avanti di Hust, verso Tjachev e Solotvino si attraversa una zona in cui ci sono intereferenze di roaming romeno... e spero sempre che non mi chiami nessuno dall’ufficio proprio in questo frnagente altrimenti chissà poi cosa penseranno, che sono finito in Romania...

Per non parlare delle usanze locali che inseriscono questa regione nel fuso orario centroeuropeo (ora ungherese e slovacca), quindi un’ora in meno rispetto a Kiev. Non è ufficiale, ma la gente – soprattutto nelle campagne e nei villaggi – usa tuttora questo punto di riferimento nella vita quotidiana.

Insomma, questa breve ma avvincente escursione mi soddisfa pienamente. Finalmente un altro tassello dei “segreti” del Paese (e di una regione che amo tanto) dove vivo ormai da oltre 11 anni è stato svelato.

Dopo questo tuffo nella storia della Zakarpatja mi rimetto in moto. Mi aspetta la strada verso Ivano-Frankovsk, una delle strade più belle, anzi per me forse la più bella di tutta Ucraina. Per il paesaggio. Man mano che si sale verso le montagne diminuisce la densità di popolazione, la strada a tratti è più stretta e l’asfalto più “devastato”, sono più rari i villaggi e, ad un certo punto si inizia a costeggiare il fiume Tissa che qui funge da confine naturale con la Romania.


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Il cartello che indica la zona di confine, e, al di là del fiume Tissa, la Romania.


Qui una sosta la faccio sempre, bello trovarsi sulla sponda del fiume mentre faccio la pipì, e guardare di là, la parte romena. Una emozione simile nella percezione, benchè totalmente diversa nella geografia, la ricordo in Tajikistan, costeggiando nel Pamir il fiume Pianzh che separa il Tajikistan appunto, dall’Afganistan.


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Immagini dal mio archivio video e fotografico del viaggio in Tajikistan del 1999. Al di là del fiume Pianzh c'è l'Afganistan. Io mi trovo dalla parte di qua, sulla strada a picco sul fiume, che da Khorog (regione del Gorno-Badakhshan - Pamir) conduce verso Dushanbè.


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Certo è imparagonabile l’impressionante scenografia dell’ambiente del Pamir al paesaggio dei Carpazi, ma a loro modo questi posti così diversi, sono meravigliosi entrambi. Allora la gente tajika con la quale viaggiavo, indicandomi la sponda afgana e le mulattiere a picco sul Pianzh, ringraziava Lenin per avergli dato, tra le altre cose, la strada che permetteva loro di muoversi tra quelle impervie montagne, mentre di là – dicevano – gli afgani accompagnati da muli stracarichi di merce impiegavano fino ad un mese per giungere a Kabul... qui un pò la stessa cosa... dalla parte di qua, quella che fu sovietica, la strada, sulle cui condizioni si può discutere, ma pur sempre strada; di là, dalla parte rumena qualche casetta sparpagliata in mezzo al verde dei prati e ai boschi senza ombra di una pur minima forma di infrastruttura.

Questa è la strada in cui si incontra il centro geografico d’Europa, la cui esattezza pare tra l’altro sia opinabile; in qualche altro Paese d’Europa si rivendica questa centralità geografica, in particolare in Lituania, ma tant’è... qui c’è tanto di cippo con l’indicazione; qui c’è il mini-bazar che vende souvenir, c’è una simpatica e tradizionale “kolyba” (ristorante in legno tipico dei Carpazi) e il luogo è meta di qualche tursta che passa da queste parti; non certo però la mia che, ormai conoscendo bene la zona, non è più una novità.


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Il centro geografico d'Europa nei Carpazi (in Transcarpazia).


E proprio lungo questa strada, oltrepassata Rahov e a pochi chilometri dal passo Jablunitskij che separa la Transcarpazia dalla regione di Ivano-Frankovsk, nel villaggio di Kvasy, sulla sponda del fiume Tissa, si trova questo ristorantino-microbirrifico dal nome curiosissimo: “Gagarin ta Bokorash” (“Gagarin e bokorash”). Inutile dire che qui invece la sosta è d’obbligo. Non nascondo che mi sono preparato anticipatamente (anche un “orso” pachidermico e lento nei confronti della tecnologia come me non rinuncia oggigiorno ad utilizzare strumenti comodi al viaggiatore come l’utilissimo “tripadvisor” – sul quale poi lascerò una degna recensione), altrimenti di sicuro mi sarebbe sfuggito. Infatti, pur trovandosi ai bordi della strada principale, non è ben indicato e, se non si rallenta e non si presta bene attenzione, può passare inosservato.


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Il ristorante micro-birrificio "Gagarin ta bokorash".


La leggenda vuole che Gagarin negli anni ’60 fosse solito venire da questa parti a riposarsi al fresco di questi bochi, di questi prati montani, godendosi la pace di questo paesaggio bucolico e fresco. Proprio qui viene a contatto con il bokorash, una figura antica, il predecessore dell’odierno spedizioniere, colui che trasportava i tronchi degli alberi (che venivano abbattuti nei boschi della zona) su zattere lungo il fiume Tissa, dalle montagne fino a valle.
A questo incontro e a questa conoscenza è dunque dedicato il ristorantino! Tanto che già all’ingresso un dipinto murale rammenta al visitatore questa curiosa storia e al secondo piano una simpatica statua fa sentire la compagnia immaginaria dei due personaggi seduti anche loro intorno a un tavolo per il pranzo.


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Gagarin e bokorash sul fiume...


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Gagarin a tavola con bokorash...


Vera o no che sia questa leggenda (a me viene raccontata dalla dolcissima camerierina che mi serve), di vero e sicuro c’è che la “panza” del buongustaio Gringox viene saziata in modo eccellente.

Un bograch così ricco di gusto, piccante al punto giusto, non l’avevo mai trovato in tutta la Zakarpatja! Un banosh così cremoso con una brinza così profumata non ricordo di averlo mai provato neanche nei locali più tipici della Bukovina (regione di Chernovcy, dove questo è il piatto tipico)!
Ma soprattutto una birra così “viva”, aromatica e originale - pure nel simpatico nome (si chiama "tsipa", cioè "pulcino") - non l’avevo mai trovata da nessuna parte in Ucraina! Con sicurezza posso dire che la birra prodotta in questo micro-birrificio non è inferiore qualitativamente a quelle che oggigiorno sono popolari e di moda in Italia, prodotte da quella miriade di nuovi birrifici artigianali che sorgono come i funghi e che effettivamente però producono birre “serie” di alta qualità per palati fini. E, decisamente, è superiore al resto del panorama birresco ucraino. Questa birra, forse per l’atmosfera in cui la si beve, forse per l’originalità degli aromi, forse perchè accompagna cibi eccezionali e adattissimi a “morire” con essa, davvero non ti lascia indifferente e, una volta degustata, restano il ricordo ed il sapore di aver provato qualcosa di unico. La produzione include 5 tipi, un pò per tutti i gusti... ovviamente li provo tutti... ma il godimento maggiore viene sorseggiando quella “pid smerekoj” e “pid traviv” (alla smereka e alle erbe di montagna).


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Questo è il modo tradizionale per cucinare il bograch, tipica zuppetta di questa regione e anche ungherese.


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Il bograch nel pentolone...


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Il bograch come viene qui servito.


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Il banosh con la brinza.


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La produzione della birra.


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Il menu della birra "tsipa" (pulcino).


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E' arrivato il conto nella zampa di gallina...


Esco più che soddisfatto, pieno, ma senza esagerare. Soddisfatto per questa giornata che, grazie ai due colpi ben sparati della visita al castello di Hust e della “mangiatina” da Gagarin, potrebbe già concludersi qui. Ma davanti a me ho ancora qualche oretta di strada prima di giungere a Ivano-Frankovsk.

In breve raggiungo il passo Jablunitskij, entro nella regione di Ivano-Frankovsk, scendo verso Jaremche ed infine arrivo in serata a valle, in quella che viene chiamata la “Prikarpatja” (ossia la regione “ai piedi dei Carpazi), ai +30° di Ivano-Frankovsk. Quel poco che resta della serata prima di coricarmi non è meritevole di nota.


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Scendendo dal passo Jablunitskij si vede al centro la cima del Goverla, la montagna più alta d'Ucraina (2061 m.).



Gringox


gringox [ 04 Luglio 2016, 20:34 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 01/07/2016.


Venerdì pomeriggio.

Finalmente giunge l’agognato week end, un “ponte” di tre giorni, grazie alla festività della Trojca (Pentecoste) che in questo anno 2016 cade domenica 19 giugno e alla consuetudine qui in Ucraina di spostare la festività coincidente con un giorno già di per sè festivo (come la domenica) al primo giorno lavorativo seguente (cioè il lunedì). I commenti su questa prassi si sprecano, ma è innegabile il piacere e la comodità, per i piccoli come per i grandi, di godere in tali occasioni di un giorno di riposo in più da poter dedicare a ciò che più aggrada.

Inizia così una “tre giorni” che già sulla carta pare estremamente avvincente. Obbiettivo massimo: ascensione sul Goverla (la vetta più alta d’Ucraina – 2061 m.); si tratterebbe per me del secondo tentativo dopo il fallimento di qualche anno a causa di un improvviso e forte temporale che mi aveva impedito di concluderla. Spesso accade che la montagna – e chi la conosce, la rispetta e la ama, la sa anche temere – mette l’uomo in condizione di scegliere del proprio destino, ti mette di fronte a un bivio che coinvolge anche l’aspetto psicologico: o chini il capo e rinunci all’obbiettivo – e dunque umilmente accetti e riconosci la sconfitta; oppure, intriso di ostinazione, la sfidi a tuo rischio e pericolo. Certo le variabili dell’esperienza di montagna e della conoscenza del territorio possono influire su questa scelta facendo prevalere o la paura o il senso di sicurezza. E ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi sulla roccia o su un sentiero in alta quota. Altre volte invece sei semplicemente costretto o a recedere o a proseguire, perchè non hai altra scelta. Allora, nel mio caso, l’aggravante della non conoscenza del sentiero e il fatto che fossi in compagnia di persone che non se la sentivano di proseguire, oltre al reale tempaccio (nuvole basse che non si vedeva niente e pioggia a di rotto), non mi aveva lasciato alternative.

Obbiettivo minimo: escursioni nel bosco – il cestino l’ho con me, chissà che non si trovi qualche funghetto; mangiatine tipiche (tra cui il ritorno da “Gagarin e bokorash” per far provare anche alla famiglia la birretta alle erbe e le pietanze locali), e soprattutto relax, tanto relax (compreso qualche mitica saunetta rigenerante) al fresco di queste boscose e verdi montagne dei Carpazi che bazzico da anni e alle quali ormai mi sento intimamente legato. Lontano dalla cappa calda, afosa e inquinata di Kiev.

La novità sta che questa volta sono con me i pargoli che ancora non hanno mai visto questi posti. Una nuova esperienza dunque e per loro, e per me insieme a loro. La tradizione invece sta nella scelta del posto: pur avendo visto diverse zone dei Carpazi, ritorno sempre lì, a Vorohta, un villaggetto decentrato rispetto alla “trassa” (strada) principale che attraversa i Carpazi da Ivano-Frankovsk a Mukachevo, e dunque meno frequentato e più autentico. Così pure la sistemazione è per me una consuetudine. Ogni anno, almeno una volta all’anno, mi fermo al “Kermanich” e lì voglio tornare. Il “Kermanich” si trova all’estremità del paese di Vorohta; è una sorta di “sadyba”, cioè un piccolo albergo con kolyba (ristorante tipico nei Carpazi) annessa, composto da diverse casette in legno (“domiki”) – una sorta di bungalow di montagna. Il bello di questo posto sta nella sua posizione lontana dalla civiltà e ai bordi del bosco e del fiume Prut che vi scorre poco sotto; e nella semplicità del suo stile.


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Il paesino di Vorohta.


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Vorohta.


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La chiesetta di Vorohta.


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Il "Kermanich".


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Il fiume Prut, poco sotto al "Kermanich".


Le previsioni danno tempo variabile, ma si sa, in montagna il tempo può cambiare repentinamente e la mia speranza è che non piova in modo da poter realizzare almeno il programma minimo.

Recupero i pargoli e il resto della famigliola alla stazione di Ivano-Frankovsk, distrutti dopo oltre 12 ore di treno da Kiev e li “deposito” in centro a far colazione, mentre io devo sbrigare delle ultime faccende di lavoro, prima di partire per la montagna. Vedo i piccoli già eccitati per l’esperienza vissuta in treno; mai prima d’ora avevano provato l’ebbrezza di un viaggio così lungo su un treno ucraino/russo: un kupè tutto per loro, le cuccette, i rumori, gli sballottamenti, i butterbrod e il thè portato dalla “provodnitsa”, i compagni di viaggio, ecc... insomma la classica situazione da treno che anche a me fa godere parecchio e di cui altre volte ho raccontato. Un pò meno pimpanti e decisamente meno riposati gli altri componenti della combricola (mogliettina, cognatina e soprattutto il fidanzato di lei che pure per la prima volta ha viaggiato per una notte intera su un treno e – mi dice – non ha chiuso occhio. Lui è uno studente curdo ed in effetti immagino che non sia abituato a certe situazioni!).

Ma il buon umore in ogni caso è percepibile in tutti loro ed in particolare l’agitazione è reale nel Paolino e nel Giorgetto perchè anche per loro, anzi, soprattutto per i piccoli, le aspettative per questo week end sono grandi. Ed io voglio dare loro più emozioni possibili, anche attraverso l’esperienza di situazioni difficile e faticose, chiaramente non esagerate, perchè più loro vivono questo tipo di emozioni più loro le assorbono, e poco alla volta si abituano ad un certo modo di approcciarsi e intendere il viaggio. È commovente vedere il luccichio della curiosità negli occhi dei bambini, in particolare di quello di un anno e mezzo, che nulla apparentemente capisce e distingue di ciò che vede, ma che sono convinto immagazzina le impressioni che, depositandosi ed accumulandosi in qualche angolo recondito del cervello, produrranno chissà una sorta di bagaglio che, nel futuro magari, contribuirà alla formazione del carattere.

Purtroppo il “Kermanich” è pieno. Si aspetta a breve l’arrivo di un “detskij tabor” (una sorta di colonia estiva) di oltre 50 ragazzini che occuperanno ovviamente tutti i “domiki” del complesso. In effetti non è un ponte solo per me, e siamo, tra l'altro, già in periodo di vacanze (le scuole sono chiuse)... potevo calcolarlo, ma mi sono fidato delle mie esperienze passate nelle quali avevo sempre trovato posto.
Non è comunque un problema. Attraversando i paesi nei Carpazi, lungo la strada, si incontrano spesso diverse case in cui vengono esposti sui recinti cartelli con la scritta “je vilni mistsja” ("ci sono posti liberi") e il numero di telefono. Ci mettiamo dunque poco a trovare un’altra sistemazione. Addirittura migliore: più isolata, più “grezza”, più verso il bosco e dunque ancora più autentica. E, tra l’altro, a poche decine di metri oltre il “Kermanich”, importante punto di riferimento per le mie saune serali che intendo fare durante questa vacanzina.

La casetta che affittano Nadja e Serezha è spartana ma ha tutto l’essenziale per poter trascorrere qualche giorno: gas, elettricità, acqua calda. Piacevole respirare l’odore d’abete che riempie le due piccole stanzette, una sotto e una sopra, della casetta. Se si escludono alcuni accessori, tutto all’interno è rigorosamente in legno. Mi sento subito a mio agio e non sono il solo... noto che tutta la combricola è entusiasta della scelta.


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La nostra casetta.


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Il secondo piano della casetta.


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La casetta di Nadja e Serghej.


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Il loro podere.


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Poco distante dalla casetta: Gringox, Giorgetto sulle spalle e Paolino.


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Nadja, la padrona, è gentilissima. Ci racconta che sono diversi anni che vive qui, da quando si è sposata con Serghej, che invece è “mestnij” (locale). Lei è originaria di Chernigov, città lontana 800 km da qui, al confine con Bielorussia e Russia, e, comunicando con lei, mi accorgo subito che la sua lingua nativa è il russo. È lei che in genere tratta coi clienti. Ci dà tutte le indicazioni del caso e ci dice che se volessimo, lei può preparare la cena e la colazione ad un costo davvero simbolico (cena a 60 grn/persona – 2 Eur a cranio). Ovviamente non c’è un menù, si mangia quello che lei prepara per la sua famiglia... Meglio di così – penso – non poteva andare! Per stasera ci sarebbe “jushka s gribami” (zuppa coi funghi porcini) di primo e cotoletta di pollo con patatine novelle di secondo. Andata! E le diamo subito l’ok per la cena.

Serghej è un buon uomo, di poche parole ma sempre sorridente, un montanaro vero. Sgobba dalla mattina alla sera dietro alla costruzione della zona barbecue che sta realizzando poco distante dalla loro casetta, e non si occupa dei rapporti coi turisti. Credo di aver scambiato con lui sì e no due parole e nulla più durante questa permanenza da loro. Hano due figlioletti, un bambino e una bambina, che vivono in stile “Heidi”, tra galline, corse nei prati e giri nel bosco a cercare funghi e bacche. E, come è naturale, sin da subito fanno subito amicizia coi miei bambini.


Sabato.

Per giungere al campo base dove finisce la carrozzabile occorrerebbe una Uaz... talmente è complicata la strada sterrata che si snoda in mezzo al bosco tra buche, sassoni che sfiorano la marmitta e canaletti. Ci metto quasi un’ora per percorrere una manciata di chilometri ad una velocità di 10 km/h. Siamo già all'interno del parco naturale dei Carpazi.


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La strada che conduce al parco naturale dei Carpazi. Questa è ancora decente... sullo sfondo, il Goverla.


Finalmente iniziamo la nostra ascensione, come da obbiettivo massimo. Movimento di turisti ce n’è, soprattutto gruppi di ragazzi dei “lagher” (le colonie estive) che trascorrono l’estate nella natura di queste montagne. Per la maggior parte, a giudicare dalla parlata, è gente dell’ovest Ucraina. Stranieri non ne incontro.

Tutti siamo ben predisposti e di buon umore, e il tempo per fortuna è dalla nostra parte. Zaini in spalla, compreso il Giorgetto sulle mie di spalle. Che già sente che si divertirà e ubriaco di emozione pian piano si addormenterà placidamente.

Già il primo pezzo, quello dentro al bosco di abeti è ripidissimo e il sentiero non è ben segnalato; si cammina a zig zag tra le radici sporgenti degli alberi costeggiando un ruscello dall’acqua limpida.


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Qualcuno sta preparando il pranzo nel bosco...


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La prima parte della salita in mezzo al bosco.


In circa 40 minuti giungiamo alla fine del bosco proprio in quella radura dove tre anni fa mi aveva colto la tempesta costringendomi a ridiscendere velocemente...
Da questo momento la vegetazione si fa più rada, il muschio, i pini mughi e l’erba si sostituiscono agli abeti, e il sentiero diventa evidente. Non ci si può sbagliare, sembra di camminare su un letto di un torrente secco, tra i sassi che segnano il percorso; la ripidità aumenta e diminuisce il passo, e poco alla volta si prende quota. Già si vede, superba, la gobba della cima, o meglio di quella che io pensavo fosse la cima e che invece ahimè si rivelerà poi essere solo l’apice del “piccolo Goverla”.


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La cima piccola e, dietro, la vetta del Goverla.


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Lungo il sentiero...


Di tanto in tanto mi soffermo e mi guardo intorno... Se dietro a questi panettoni boscosi vedessi stagliarsi un “Sella”, un “Sassongher”, un “Cristallo”, o le “Tofane”, penserei di essere sulle “mie” Dolomiti; e in effetti provo ad immaginarmelo questo paesaggio meraviglioso con le Dolomiti dietro e davvero trovo qualche affinità. Forse però maggiore somiglianza queste dolci montagne ce l’hanno con l’Altaj, decisamente diverse invece dal Caucaso...


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Panorama dal Goverla.


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Il panorama chilometrico dalle pendici del Goverla.


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Panorama dalle pendici del Goverla.


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Scorcio della Val Badia sulle Dolomiti.


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Il "Sassolungo" (Dolomiti).


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La vista da un versante del "Sella" (Dolomiti) a valle.


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Il "Sella" visto da Corvara.


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Immagini dal mio archivio fotografico del viaggio sull'Altaj kazako e cinese del 2002. Qui l'Altaj sul versante kazako.


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E qui l'Altaj sul versante cinese.


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Il Kazbeghi avvolto nelle nuvole, nel Caucaso, fotografato da me durante un viaggio in Georgia nel 2013.


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Il paesaggio del Caucaso.


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La particolarità dei Carpazi, visti dall’alto, sta nella visione di panorami chilometrici; nulla ostruisce l’occhio, nè segni di civiltà, nè gli enormi blocchi di pietra che costituiscono le “vere” montagne, nè le vette innevate; occhio che può guardare lontano e seguire le gobbe di queste montagne boscose che incontrano il cielo. E lo spazio che si apre davanti è immenso. Si vedono anche diverse chiazze bianche, piccoli nevai, residui d’inverno che per la posizione meno esposta al sole resistono al caldo estivo.

Proprio per questo il panorama da qui è a suo modo impagabile. O meglio, un prezzo ce l’ha ed è la fatica ed il sudore che provo sulla pelle salendo verso l’alto superando un discreto dislivello e camminando su questo ripido sentiero.

E così giungiamo ai piedi del “piccolo Goverla”, la prima delle due cime del Goverla; manca – ci dicono – ancora un’oretta o forse più di cammino. Improvvisamente piombo nello sconforto! Inizio ad avere la sensazione che qualcosa anche stavolta andrà storto... Questa notizia ha infatti un impatto negativo su tutti, in particolare su qualcuno del nostro gruppo che già non ce la fa più; qualcuno che poco prima era partito pimpante e zompettava agile tra le radici sporgenti degli abeti e che ora mugugna e alterna un passo lento ad una seduta per riprendere fiato... è Paolino che, esausto, convince tutti, me compreso a malincuore, a invertire la rotta e ridiscendere verso la base. Con dispiacere butto gli occhi sulla cima di questo “panettone” che ancora una volta mi vince e mi fermo a guardarlo per diversi secondi, ma – penso – a questo punto la sfida è aperta, e mi riprometto di tornare una prossima volta per sottometterlo! Iniziamo così la discesa. E’ a questo punto che l’altro pargolo, che dormiva da mò, beato e comodo nello zaino sulle spalle del “papetto”, si sveglia ed inizia a guardarsi intorno esclamando qualcosa che assomiglia a dei gemiti di gioia forse per l’emozione del paesaggio che i suoi occhietti vedono intorno, chissà...

Poco dopo arriviamo alla macchina e torniamo alla base. È già sera.


Domenica.

Il giorno successivo, la domenica, lo dedichiamo alla “mangiatina” al “Gagarin ta bokorash”, come da programma. Inutile descrivere la soddisfazione di tutti, compresi i bambini che apprezzano anche un goccino di quella magnifica birretta.

Prima di rientrare alla base facciamo una deviazione a Bukovel’, la nota meta del turismo invernale ucraino. È tanto che non metto piede in questo paesotto; so che è di moda, si sta da anni costruendo molto: nuovi hotel, nuovi impianti di risalita, nuovi ristoranti; la gioventù più “in” d’Ucraina ama trascorrere qui le “settimane bianche” e dar mostra di sè, qui si incontrano macchinoni e gente “tirata”, altro che amanti veri della montagna... No, non fa per me. Certo la posizione è bella, in una conca circondata da montagne boscose, ma a mio parere sono riusciti a rovinarla col cemento e con le costruzioni selvagge. Una cosa bella, a dire il vero, l’hanno fatta: un laghetto artificiale scenografico con acqua trasparente dove sguazzano una miriade di pesciolini... e dove c’è una sorta di spiaggia con tanto di ombrelloni e sdraio e dove si può fare il bagno, ma... a pagamento... Qui a Bukovel’ si ha la sensazione di essere in un mondo finto, un pezzo di occidente e di modernità trapiantato in questo angolo di montagne. Addirittura le strade nel paese non hanno una buca e sembrano quelle precise e lisce dell’Alto Adige! Con la differenza che mentre nelle nostre montagne – mi riferisco per esempio all’Ato Adige che conosco da 40 anni – la modernità è arrivata come evoluzione in linea con la tradizione di quei posti, e si è diffusa in modo uniforme, senza eccessi; qui invece, pur nella cura e nello stile delle infrastrutture, si percepisce la volontà di far prevalere il lusso, le comodità, il “glamour” e dunque il contrasto con la semplicità e la rudezza della realtà intorno al di fuori da qui, che è bella proprio perchè autentica.
Per fortuna che appena si lascia Bukovel’ alle spalle ci si immerge nuovamente nei “veri” Carpazi.


Ultima sera.

Se c’è un piacere per il fisico che, da quando la mia russofilia mi ha irreversibilmente (almeno per il momento) condotto ad amare questo mondo, non trova pari, esso è quello della “banja”. La sauna è per me ormai un rito quasi settimanale anche a Kiev da anni, ma la “banja”, che è la variante a legna, ha un che di più naturale rispetto alla sauna e mi dà maggiore soddisfazione. E più essa è originale e fatta in situazioni particolari, e più il godimento è intenso. Certo d’inverno si raggiunge l’apice del piacere, quando capita di buttarsi letteralmente nella neve con il corpo ancora ustionante per il calore chè esso ha immagazzinato. E più è penetrante la temperatura, e più è agognato il contrasto, più è forte il desiderio di refrigerio... e a me piace che sia bollente davvero (in sauna intorno ai 92°-94°; nella “banja” intorno ai 70°, anche se in quest’ultima il calore lo si sente di più grazie alla maggiore umidità – fino al 70% – rispetto alla sauna). E allora poi ti vene da sorridere quando ti guardi allo specchio e ti vedi rosso come un peperone per la reazione caldo-freddo che si imprime sul corpo. E ti viene voglia di ingurgitare della birra gelata. Ho sentito dire diverse volte che sarebbe corretto abbinare alla sauna il the caldo, che aiuta nel rilassamento... ma io no... non è per me; preferisco infrangere, se possibile, questa norma e sentire nella gola il freddo della birra che scende giù...

Quante “banj” ho fatte in vita mia, e molte me le ricordo... qui sui Carpazi in un’altra occasione di qualche anno fa con un mo cliente, in inverno: ricordo che si usciva dalla casetta della “banja” direttamente sul ruscello gelato; e poi in Siberia, e in Estonia quando ero un pò più giovane: anche qui ricordo l’emozione del bagno nel lago gelato dove era stato fatto un buco nello strato di ghiaccio che aveva formato una sorta di vasca dove ci si buttava una volta usciti dalla “banja”...

Ma anche in estate è bello fare la “banja”, soprattutto come in questa occasione, in montagna, quando comunque la temperatura di sera scende e invoglia il fisico, che spesso è appesantito e stanco dallo stress delle escursioni della giornata, al caldo relax.

Al “Kermanich” c’è una mitica “banja”, che, ovviamente già conosco per averla provata in passato.

Ultima sera... sulla pelle ancora l’odore della carne alla brace e del shashlyk degustato poco prima; giusto in tempo perchè pian piano le nuvole grigie sono diventate uniformi e, contemporaneamente all’avvicinarsi del buio della notte, sta iniziando a piovere; i miei si stanno già coricando, ma a me aspetta l’ultima “banja”. Già domattina si riparte per Kiev; avremo davanti come minimo 12 ore di macchina, tra soste e percorso.


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La "shashlykata" conclusiva...


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...bisogna sudarsela la carne...


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Mi serve dunque un ultimo momento di relax, anche perchè in questi tre giorni le gambe sono state messe per bene alla prova ed è stato un degno allenamento per la vacanza estiva dolomitica che mi aspetta tra poco più di mese. La pioggia intanto inizia a farsi più intensa, forse a suo modo il tempo sta salutando la nostra partenza di domani...

Quest’ultima “banja” la ricorderò a lungo. Nudo, nel buio pesto; i “domiki” del “Kermanich” sono già tutti bui segno che i ragazzini del “tabor” stanno già dormendo. Sento gli scrosci della pioggia venir giù fitti e cadermi sulla testa, ed io qui fuori sotto questa doccia piovana fredda a riportare il corpo alla sua temperatura naturale. E non contento mi metto proprio sotto la grondaia, dove il getto d’acqua che si raccoglie dal tetto è più forte e pungente e mi procura un piacere indescrivibile. Rimango qualche minuto così, alitando per vedere l’aria fredda che esce dalla bocca ed osservando il vapore che emette il corpo ancora bollente, a contatto con l’aria fredda intorno. Vorrei ripetere ancora e ancora questa procedura “banja”-doccia piovana, ma l’orologio segna già l’una. È l’una di notte, devo rientrare nella casetta per questa ultima notte sui Carpazi. La prima volta sui Carpazi con la famiglia.

Un week end che non dimenticherò mai.


Gringox


gringox [ 08 Luglio 2017, 7:44 ]
Oggetto: Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Post del 07/07/2017.




03-05/06/2017: in famiglia sui Carpazi, come da tradizione durante il "ponte" della Pentecoste.



Lago Sinevir.


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Il lago Sinevir.


Di veramente curioso intorno a questo laghetto alpino c’è, a mio parere, solo la leggenda... C’era una volta un conte che possedeva un grande appezzamento di bosco sui verdi Carpazi; egli aveva una bella figlia di nome Sinja, dagli occhi appunto “sinije” (blu) come il cielo. Molti uomini, semplici boscaioli e potenti di altre zone dei Carpazi, facevano la corte alla fanciulla... ma Sinja si era innamorata di un bel giovane pastore di nome Vir, un ragazzo semplice, la cui unica ricchezza era un piffero, che suonava sempre e col quale egli sapeva ammaliare Sinja.

Il padre di Sinja venne a sapere della storia d’amore e si oppose fortemente ad essa. Sinja e Vir, che però si amavano profondamente, erano dunque costretti ad incontrarsi segretamente. I due giovani erano felici...

In breve il conte decise di farla finita con Vir. Commissionò dunque l’omicidio. E così, poco dopo, mentre Vir stava aspettando Sinja per un nuovo incontro, uomini mandati dal conte lo individuarono e gettarono un grande masso sopra il ragazzo uccidendolo. Quando Sinja giunse sul posto venne presa dal dolore lancinante ed immenso, ed iniziò a piangere. Pianse talmente tanto e a lungo che intorno a lei si creò un lago di lacrime nel quale lei stessa annegò.


sin_vir
Sin e Vir.

Da allora il lago prende il nome di Sinevir, appunto in memoria dei due innamorati Sinja e Vir a simboleggiare l’eterno amore che i due hanno potuto conservare solo con la morte.


Per il resto il laghetto in sè mi delude un pò. Mi aspettavo di catapultarmi in un’oasi di silenzio in mezzo al boscoi e invece mi ritrovo in mezzo a decine di bambini starnazzanti di qualche scolaresca o colonie estive.
L’acqua del laghetto non è neppure così pulita, almeno lungo la sponda. Bello invece il bosco tutt’intorno, le sfumature di verde che si riflettono sull’acqua immobile; e curioso l’isolotto là in mezzo al lago che, se uno lo volesse, si può raggiungere con una sorta di zattera. Chissà, che sia esso forse il masso che uccise Vir?



L’escursione al lago Sinevir non era però l’obiettivo principale del fine-settimana, sebbene sia stato un incipit interessante, dato che era anni che mi riproponevo di vederlo e, per un motivo o per un altro, non ci ero ancora mai stato.

Quest’anno dovevo assolutissimamente porre fine alla maledizione del Goverla, che per ben due volte nel passato (l’ultima l’anno scorso, come raccontato sul Forum), ha provocato il dietrofront nel bel mezzo dell’ascesa alla vetta più alta d’Ucraina (2061 m.).

Lasciati nella casetta nel bosco i bambini insieme ai nonni (che questa volta appositamente ho portato dietro, prevedendo appunto di portare a termine la missione Goverla), e approfittando di un tempo clemente siamo dunque, io e la mogliettina, partiti per l’impresa.

Indescrivibile la fatica! Sul serio... io mi ritengo un discreto montanaro, ho un buon passo, una buona resistenza e amo fare trekking e arrampicare; a questo proposito, proprio mentalmente e sulla base dell’esperienza, ho sempre un pò snobbato, pur avendo imparato ad amarli, i Carpazi in generale, e questa montagna in particolare, ritenendola semplice per il fatto della sua forma a “panettone” erboso dalle pendici apparentemente dolci, senza rocce o burroni... ma mi sono dovuto ricredere! Oltretutto, forse, proprio quell’approccio mi ha causato le sfortune dei tentativi di ascensione precedenti, miseramente falliti...

Parallelamente mi ha sorpreso la quantità di escursionisti, di tutte le età, che abbiamo incontrato durante la salita, e poi sulla cima; questi tra l’altro parevano più in forma e più esperti di me, a giudicare dalla scioltezza con cui si muovevano; mentre io, non facendomi una ragione di ciò, arrancavo e la fatica era ancora maggiore per il senso di invidia che provavo nei confronti di questa gente...

Infine l’ultimo tratto, quello che conduce alla vetta; qui non c’è più un sentiero, bensì è possibile zigzagare come si vuole sul pendio; salita che mi ha comportato uno sforzo bestiale. Alla fine, dopo circa 4 ore di camminata e circa 800 m. di dislivello, ce l’abbiamo fatta! La grande soddisfazione nel mettere i piedi sulla larga e piatta cima del Goverla dopo tutta quella fatica è altrettanto indescrivibile. Il panorama da qui è spettacolare, da una parte, in fondo verso sud si vedono i Carpazi romeni; tutt’intorno le cime più basse dei Carpazi ucraini, “gobbe” di detriti, muschio ed erbe; mentre più in basso i boschi di conifere immensi; praticamente nessun segno di civiltà a valle; tira un forte vento e ci sono anche parecchi sprazzi di neve, cosa apparentemente strana per queste altezze non così estreme – in fondo siamo a poco più di 2000 m., ma è chiaro che la latitudine qui gioca la sua parte e molto spesso capitano nevicate a queste quote anche d’estate.
Bello, bello davvero!


goverla
Il panorama dalla cima del Goverla.

goverla_1


goverla_2
e ancora...


Il resto del week end l’abbiamo dedicato al riposo; per i funghi è ancora presto, nel bosco non ce n’è traccia, neppure di quelli “matti”. Quindi abbiamo optato per una gita alla “fighetta” Bukovel’ – la più rinomata località sciistica d’Ucraina dove da anni c’è un boom di turismo d’èlite un pò in tutte le stagioni dato che qui le infrastrutture ed i servizi sono a livelli europei (come i prezzi!). Nonostante io personalmente non verrei qui a passare le vacanze, non sentendomi a mio agio in questa oasi “finta” e “pantovaja”, devo riconoscere che la conca naturale dove si trova ed il paesaggio intorno sono veramente belli. Come pure il lago artificiale che è una delle attrazioni principale del paese.



bukovel_lago
Il lago di Bukovel' e il bel panorama intorno.



Preferisco decisamente sempre la “nostra” grezza e genuina Vorohta, la “nostra” casetta di legno altrettanto grezza ai margini del bosco, le strade piene di buche sulle quali la gente locale si muove in UAZ, in Lada Niva o in altre “carcasse” di eredità sovietica o... coi carretti trainati dal cavallo...



carretto
Il Gringox contadino dei Carpazi


L’ultima sera, per la gioia di bambini ed adulti, e soprattutto del vecchio scout Gringox, si fa shashlyk nel bosco... i bambini vanno a raccogliere la legna, gli insegno come preparare il fuoco e tutti ci divertiamo ad alimentarlo, a fare le fiamme alte, a cuocere la carne, e, tra una cosa e l’altra, a fare la guerra con le pigne. Fino a quando scende il buio che trasforma le “smereke” (la “smereka” è il larice dei Carpazi) in inquietanti forme che tanto spaventano i bambini e non solo... e si va a dormire.


fuoco
Il nonno (mio suocero) coi bambini intorno al fuoco nel bosco.



Gringox




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