Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura).
Vacanza di Crimea – agosto 2011.
Новый Свет (Новий Світ) – Novij Svet (Nuovo Mondo).
Che la Crimea fosse una terra stupenda me ne sono già accorto nella mia prima sortita a Yalta, in aprile di quest’anno. Abituato come sono all’ovest Ucraina, alla sua inconfondibile identità nazionale e ucrainicità profonda, in Crimea vengo catapultato nell’altra direzione. Qui tutto sa di Russia, a cominciare dalla lingua parlata dalla gente locale (tatari e russi) e dai turisti, praticamente tutti russi, fino a quelle piccole situazioni che tendono a rimarcare un senso di appartenenza radicato che la gente non ha alcuna intenzione di tranciare (bandierine russe sui cruscotti delle macchine, insegne scritte in russo, bandiere russe sventolanti fuori dai locali, macchine dei vacanzieri in maggioranza targate RUS, cucina per lo più legata alla tradizione russo-tatara e dell’Asia Centrale).
Ma Novij Svet non è Yalta. Là lo struscio, l’apparenza, il desiderio di farsi notare, le discoteche, la gioventù rampante e i figli degli oligarchi, le boutique, gli yacht, gli hotel di lusso; qui la pace, la tranquillità, la gente che a torso nudo e in ciabatte si cucina shashlyk a casa e trascorre il periodo di vacanza facendo una vita spiaggia-casa-spiaggia, senza darsi ai divertimenti notturni vari, che qui tra l’altro mancano; dunque tante famigliole con bambini e pochi sbarbati in cerca di avventure estive…
Il monte Orel.
Il monte Sokol.
Novij Svet non è altro che una piccola baia dominata ai lati dal monte Koba-Kaja (che in lingua tatara significa “orel” - aquila) e dal monte Sokol alto 472 m.; due panettoni rocciosi dalle forme vagamente richiamanti quei rapaci di cui portano il nome (aquila e falco). Il paesino si estende a semicerchio tra questi due monti, lungo il pendio dolce nell’inclinazione, ma aspro nella vegetazione, ricoperto di boschetti radi di pini marittimi, ginepri, pistacchi, mirti e altre varietà di cui ignoro il nome; visto dal mare appare come un tappeto ondulato e irregolare dove il verde degli alberelli si alterna al color paglia giallastro della terra secca per culminare ai lati nel grigio della roccia che potrebbe essere tranquillamente di tipo dolomitico. Dove le montagne si gettano nell’acqua diversi dirupi a picco sul mare e calette deliziano la vista di chi le osserva.
Da “vecchio” scalatore non nascondo la tentazione di potermi cimentare in qualche intrigante arrampicata, ma ahimè non ho più né l’allenamento né la dimestichezza di una volta e il “peso” degli anni e della pancetta si sente già da tempo.
Il paesino di Novij Svet è minuscolo: un paio di filari di grigi “pjatietazhki”, orribili come al solito, con tanto di facciate scorniciate e di panni appesi alle finestre da una parte; un alto hotel – pure in stile soviet – con l’immancabile forma quadrata e di colore bianco dall’altra, e in mezzo ad essi una miriade di casette sparpagliate nel bosco senza ordine, alcune sopraelevate, di diversa fattura; alcune di legno, altre di mattoni, altre ancora di lamiera che sembrano baracche, collegate tra loro da sentierini mezzi asfaltati e mezzi sterrati, sconnessi e pieni di buche, che se non si sta attenti a come si cammina, si rischia di prendere una storta. Ma è davvero pittoresco! Molte di queste casette hanno un piccolo appezzamento di terreno intorno che viene addobato con fiori variopinti, talvolta con piccoli orti, e tutte con la cisterna sopraelevata e arrugginita per l’acqua.
Ogni tanto, mentre si passeggia nel parchetto respirando il profumo dei pini marittimi, si può scorgere un’orribile serpentina di tubi gialli sopraelevati, anch’essi mezzi arrugginiti, che a volte ti corrono ai lati, quasi nascosti tra gli alberi, altre volte ti passano sopra la testa a mò di ponte, e smistano il gas – credo – o l’acqua, per tutto il paese. Eredità del tempo soivietico in cui si usava esporre le tubature all’esterno, per comodità nel caso di riparazione di qualche guasto.
Infine la nota dolente della spazzatura: pochi cestini, sempre pieni zeppi; di tanto in tanto, mentre si passeggia, qualche folata puzzolente annuncia che si sta passando vicino ad un container di ferro aperto con la scritta “musor” in vernice, dove vengono gettati i sacchi delle immondizie. E non è difficile, ahimè, trovare sul proprio passo sporcizia di vario genere abbandonata così, all’aria aperta, soprattutto bottiglie di plastica.
La sera il buio totale. Solo nella centrale ul. Golitsyna qualche lampione illumina con luce flebile la strada; ma dal lungomare risalendo verso le proprie abitazioni non c’è assolutamente illuminazione se non quella proveniente dalla luna e del cielo stellato…sempre bello il cielo di notte al mare, con il carro maggiore che si staglia limpido e maestoso…
La casetta della vacanza.
Il sentierino che conduce alla casetta.
La casetta dove alloggio è una sistemazione niente male. Di due piani, io sto al piano superiore. Una soluzione non molto economica (560 grn. al giorno, ma la Crimea in generale è cara!), ma in circa 40 m2 c’è tutto ciò che serve per una vacanza al mare; fatta in legno e carina esteticamente: una semplice cameretta con un lettone comodo, un degno bagno spazioso, con doccia e acqua calda sempre (questo particolare non è da poco, perché non in tutti gli appartamenti qui c’è sempre l’acqua calda) e un largo balcone che fa anche da cucinotto, con stufetta a gas e frigorifero, chiuso ai lati da sottili pareti di legno forate sulle quali si avvinghiano piante rampicanti, che danno l’idea di essere all’interno di una veranda, lasciano filtrare la luce del sole, evitano che il locale si riempia di mosche e zanzare e consentono di intravvedere il mare poco più giù.
Ovviamente qui è tutto incendiabile e misure antincendio non esistono…
Queste casette, come tutte le altre intorno, sono per lo più su due piani, immerse nel verde e collegate tra loro da sentierini in cemento; alcune hanno un giardinetto privato, altre no; praticamente fuori da tutti gli usci si trova un “mangal” perché qui la gente in vacanza ama prepararsi succulenti shashlyk e gustarseli in casa.
Si tratta di casette per le vacanze, credo che d’inverno esse siano praticamente disabitate, infatti non vedo impianti di riscaldamento. Molto spesso si incontrano cartelli appesi alle pareti con la scritta “zdaetsja zhilje” (здается жилье) e col numero di cellulare, significa che sono libere al momento. In effetti non c’è questo gran pienone di turisti.
Le baracche vicino alla spiaggia.
In ogni caso a me è andata meglio di altri! Scendendo verso la spiaggia si vedono diverse baracche di lamiera – perché non si può far altro che chiamarle col proprio nome “baracche”, dove la gente alloggia tranquilla e trascorre la propria vacanza! Non immagino il caldo che si respira la dentro…
La spiaggetta e sullo sfondo il monte Sokol.
La spiaggetta è corta, libera diremmo noi (cioè gratuita) e gremita di gente; pochi ombrelloni aperti e poche sdraio – queste sì sono a pagamento (40 grn./giorno). Arrivare verso le 10.30 – 11.00 di mattina significa non trovare un buco libero dove stendere il proprio asciugamano, e dover percorrerla su e giù un paio di volte almeno prima di rassegnarsi ad una sistemazione stretta, praticamente appiccicato a qualche vacanziero già svaccato da tempo sotto il sole. Quella stessa gente che arriva presto la mattina ad occupare il posto sulla spiaggia è la stessa che poi, verso sera, ordinatamente sta in fila ad aspettare la marshrutka che la riporta a Sudak o a Feodosja; dopo un paio di giorni capisco il sistema: questi turisti (poco) furbi vengono da altri paesi della zona costiera per trascorrere qui la giornata, perché il posto è più bello, e la sera se ne tornano da dove sono venuti. Dovreste vedere che file per attendere la marshrutka…roba da pazzi, anche in vacanza! E la sera il paesino di Novij Svet si svuota e sul lungomare poca gente passeggia.
La sabbia non è proprio finissima, ghiaietta e sassi più grossi rendono il camminare sulla spiaggia non tanto piacevole per i piedi, oltre al fatto dello zigzagare tra le persone sdraiate.
La ricerca del posto dove piazzarsi deve essere accurata, da evitare assolutamente di posizionarsi vicino al tipo che bofonchia col megafono ogni 4 minuti, con voce pastosa e sbiascicata, interrompendo la placida quiete nella quale si vorrebbe riposare, che invita i bagnanti a provare le attrazioni locali: il “bananchik” e la “shajba” (шайба – il “dischetto” dell’hockey su ghiaccio). Il primo è una specie di gommone giallo, a forma appunto di banana, dove otto persone, quattro su un bordo, e quattra sull’altro, dopo essersi seduti a cavalcioni vengono trascinati dal motoscafo al quale il gommone è legato da una corda, che a tutta velocità si proeitta in mare aperto facendo virate e giri bizzarri, provocando urla di divertimento da parte dei fortunati che si vedono saltare su e giù per le onde. La “shajba” o “dischetto”, si basa sullo stesso principio del “bananchik”, solo che invece di ospitare più persone, si tratta di un gommone rotondo a due posti, e qui l’emozione è garantita. Ti senti “bistrattato” e scaraventato a forte velocità sull’acqua da una parte e dall’altra, col gommoncino che schizza sull’acqua, salta, si piega, rotea, e tu devi tenerti forte alla maniglia sui lati per mantenere l’equilibrio ed evitare di ribaltarti in mare. Roba un po’ da luna park, ma, dopo averlo provato, confermo che è assai divertente.
Tra le altre cose, anche qui come in Italia ci sono i pattini (pedalò o mosconi, come la gente li chiama da noi). Credo che questi abbiano almeno 30 anni, a giudicare dal loro aspetto; eppure son lì e la gente li noleggia più che volentieri. A fianco del pattino retrò, si trovano le moderne e tecnologiche moto d’acqua Yamaha, che ogni tanto si notano sfrecciare nel mare.
Ad un’estremità della spiaggia c’è il pontile dove sono ormeggiati diversi motoscafini: qui ci si può mettere d’accordo per fare escursioni marittime lungo la costa.
Se durante il riposo in spiaggia, tra un bagno in mare e una dormitina sotto il sole caldo, ma non concente, si percepiscono gli stimoli della fame c’è solo l’imbarazzo della scelta. A poterli soddisfare giungono con quasi regolare frequenza, preannunciati da voci cantilenanti, ma mai invasive, vari tipi di aperitivi: “svezhaja rybka, vjalenaja, kopchenaja rybochka” (“pesce fresco, secco, affumicato pesciolinooo”), “kukuruza varennaja” (“pannocchia bollita”), “krevetki, midii, rapany” (“gamberetti, cozze, rapany”), “malinka vitaminka, ezhevika lesnaja” (“lampone vitamina, mora di bosco”), “blinchiki s mjasom”. Nei miei ricordi d’infanzia e di adolescenza delle spiagge riminesi dove per anni trascorrevo tutto il mese di luglio, c’era il negretto di turno che girava col cocco o con souvenir vari e che in modo insistente e stressante cercava di propinarti la sua merce facendo il simpatico…qui sono volenterosi ragazzetti locali, o “babushki” che per arrotondare la misera pensione preparano a casa queste pietanze e poi le offrono in spiaggia ai bagnanti. Certo la visione di quei pescetti affumicati, striminziti e penzolanti, potrebbe far andar via l’appetito a qualcuno, ma con una fresca birra si gustano che è una meraviglia!
Un’ultima annotazione a proposito della spiaggia: non si vedono guardie costiere o bagnini da nessuna parte.
Il piccolo lungomare ha un che di retrò e la cosa lo rende più “vero” e divertente, e un po’ kitch. Se la spiaggia è al livello del mare, il lungomare corre parallelo ad essa, ma al piano superiore. Lungo tutta la spiaggia, in diversi punti, alcune sgangherate scalette a volte metalliche in altri casi di cemento, conducono al livello del lungomare. Aiuole ben curate con fiori colorati abbelliscono l’ambiente tutt’intorno. Passeggiando su e giù per il lungomare si incontrano diversi locali, carini, dove si può mangiare shashlyk o bere una birretta.
Aptechnij kijosk.
Chioschetti ovunque, alcuni propongono souvenir vari o abbigliamento e accessori da mare e da spiaggia, altri sono residuati soviet come l’ “aptechnij kiosk” o la bancarella che vende birra alla spina e “limonad” di marca “Krym”. Noto che va moltissimo il kebab. Ma se si ha intenzione di consumare un più degno pasto, si può provare in uno dei tanti ristorantini sistemati lungo la strada, alcuni sporgenti verso il mare e poggianti su colonne a mò di palafitta, altri orientati a monte.
Al ristorantino Paradiz, sorseggiando dell’ottimo vino bianco “Meganom”, io…
…e la “pesciolina”.
Io mi sono trovato bene al “Paradiz”, e come mio solito, se mi trovo bene in un posto, difficilmente lo cambio. E così qusto Paradiz è stato il ristorantino della vacanza dove mi sono tolto tutti gli sfizi e le mie curiosità enogastronomiche.
Samsa “incollate” sulle pareti interne del tandyr (stufa) mentre si cuocciono.
Uhà – la zuppa di pesce.
Chernomorskaja kefal’.
Il mio piatto preferito: l’antipasto di rapany con cipolline e pomodorini soffritti.
Dalla samsa il cui impressionante modo di cottura cattura la mia attenzione (самса – specie di panino ripieno con carne trita di montone e cipolla, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), all’uhà (уха) con vari tipi di pesce; dalla shurpa (шурпа – zuppa con carne di montone) al shahlyk di “baraninoe mjaso”; dalla lipjeshka ustionante in puro stile uzbeko (лепешка – pane rotondo cotto nel tandyr, una specie di forno a legna, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), ai chebureki ripieni di carne, al shashlyk di pesce di “chernomorskaja kefal’” (черноморская кефаль)…ma il piatto che non manca mai è l’antipastino di rapany (рапаны) con cipolline e pomodorini soffritti.
Ovviamente mi dò alla degustazione ogni volta di un vino diverso, poiché la Crimea, e in particolare questa zona, è rinomata per una produzione interessante sia di shampanskoe, ma anche di vini secchi bianchi e rossi; qui è famoso il bianco Meganom della “Solnichnaja dolina” (Меганом – Солнычная долина), che ricorda molto il pinot chardonnay.
Il lungomare e la spiaggia sono nel complesso puliti, anche se i cestini sono sempre zeppi di spazzatura.
Il sentiero Golitsyn.
Il sentiero Golitsyn visto dalla baia blu sovrastata dal monte Orel e sullo sfondo, in lontananza, il promontorio Meganom (che dà il nome al vino di cui ho parlato).
Il sentiero costiero ideato e realizzato dal conte Golitsyn nel XIX sec (Голицынская тропа) è un’esperienza che non lascia indifferenti, e per le visioni di paesaggi mozzafiato e per il fiatone che ti porti a dietro per tutti i 2,5 km del percorso su e giù per le rocce a picco sul mare. Fa parte della piccola riserva naturale di Novij Svet e inizia poco sopra il lungomare, alle pendici del monte Orel, inerpicandosi prima a picco sul mare, poi pian piano aggirando il monte Orel, per finire nuovamente in paese, ma nella parte superiore, vicino al mercato.
La baia blu (sinjaja buhta).
La vista della “spiaggia dello zar” (tsarskij pljazh) dal sentiero Golitsyn. La spiaggia è chiusa ai bagnanti affinchè si conservi pulita…così mi pare di aver capito!
Nella prima parte si passa dalla veduta della baia verde (зеленая бухта), a quella della baia blu (синяя бухта), fino alla meravigliosa “tsarskij pljazh”, tra calette, spuntoni, rocce emergenti dal mare e formanti piccoli isolotti e passaggi stretti e scivolosi a strapiombo sul mare. In questa prima parte c’è una componente di pericolo non indifferente a causa del terreno ghiaioso, sconnesso e non sempre protetto del sentierino che, a tratti, è a picco sul mare.
Nella seconda parte del percorso si cammina nella “mozzhevelovaja rosha” (можжевеловая роща), il boschetto di ginepri, dove si incontrano alberi di vario tipo e si mischiano i profumi di resina, di erba secca, e di mirto. Sì, perché con mia grande sorpresa riconosco tra queste piante il mirto, ed i rametti con le bacche blu scure e profumate mi riportano alla mente l’etichetta dello “Zedda Piras”; ed io che pensavo crescesse solo in Sardegna…ahh, se qui la gente sapesse che ottimo digestivo si potrebbe ricavare dalla lavorazione di queste bacche!
Ad un certo punto, quando il mare ormai sparisce dietro il bosco che diventa sempre più fitto, girando lo sguardo verso destra ci si trova alle pendici del monte Orel e da qui si dirama una specie di sentierino che si inerpica verso la montagna. Questa volta il pensiero del “vecchio” Gringox alpinista si fa sempre più penetrante e la curiosità e la voglia di sfida prendono il sopravvento. Obiettivo: vetta del monte Orel! L’ascesa è ripida e ansimo pesantemente ma non mollo. Il livello di difficoltà è tra il facile e il medio-facile, nulla di impossibile; ogni tanto faccio uso delle mani, ma per lo più bastano le gambe. Man mano che salgo si fa più rada la vegetazione e la roccia prende il sopravvento.
Il Gringox in cima al monte Orel.
La vista della baia e sullo sfondo il paese di Sudak (che dista 7 km. da Novij Svet).
Le rocce a strapiombo sulla baia blu.
Novij Svet dall’alto.
In poco meno di mezz’ora raggiungo il crinale della cima: qui un gruppetto di ragazzotti con delle guide fotografa a più non posso tutt’intorno. E ne hanno ben d’onde! Il paesaggio da quassù è mozzafiato e un accenno di vertigine mi assale. Si vede tutto a 360°: il paese di Novij Svet, più in là il paesone di Sudak, sotto di me la baia blu e il mare aperto, poi la “tsarskij pljazh”, e infine il pendio che domina Novij Svet con la sua boscaglia. Mi siedo una decina di minuti, riprendo il fiato e scatto qualche foto. In breve poi, saltellando nel mio vecchio stile di “cavallo pazzo”, tra una roccia e l’altra, mi ritrovo a valle e riprendo il sentiero Golitsyn che mi riporta in paese. Da qui, attraverso il piccolo mercato, rientro a casa.
L’ingresso della fabbrica dello “shampanskoe” Novij Svet.
Novij Svet: lo “shampanskoe”. In passato tra le mie bevute nelle terre russe ricordo di avere già avuto l’onore di bere uno champagne etichettato “Novij Svet”, ma prima d’ora non avevo mai riposto grande attenzione alla provenienza di tale prodotto. Tra l’altro non ricordo neppure se lo avessi o meno apprezzato. Una cosa è certa: qui a Novij Svet esso non passa inosservato! Tutto fa parlare di questa marca antica di shampanskoe, e del suo fondatore, quel conte Golitsyn del sentiero, che iniziò l’attività produttiva nel lontano 1878: c’è la piccola fabbrichetta che funziona ancora col metodo tradizionale, c’è il carinissimo museo dello Shampanskoe, con foto d’epoca, colezione di bottiglie e una cantina spettacolare dove si può partecipare ad una vera e propria degustazione di 6 diversi tipi di champagne; ai “firmennie magaziny” sparsi per il paesello dove non solo si possono acquistare le bottiglie, ma lo servono pure alla spina, in quantità varia, così che poi lo si possa portare in spiaggia e degustare tra un bagno e l’altro. Non è uno scherzo, vedo coi miei occhi tanta gente bere allegramente shampanskoe in spiaggia come fosse acqua o te freddo o birra…
“shampanskoe” polusuhoe krasnoe (champagne semidolce rosso).
La selezione di bottiglie storiche Novij Svet.
La pittoresca degustazione, all’interno del “podval” del museo, con tanto di stacchetti musicali a suon di violino tra un assaggio e l’altro.
Che dire: ci sono delle varianti di brut extra dry, e di semi-secco, sia bianco che rosè, che sono eccezionali! Tra l’altro scopro una cosa curiosa: il mitico “Sovetskoe shampanskoe” che da Kaliningrad a Sakhalin, passando per Ucraina, Moldavia, Asia Centrale e Caucaso, si beve tuttora e trova grande riscontro di piacere soprattutto tra il gentil sesso russo, è stato in tempo sovietico prodotto in questa fabbrica. In seguito il marchio “sovetskoe shampanskoe” è stato applicato a produzioni di altre fabbriche sparse un po’ in tutti i Paesi dell’Unione e la qualità è andata sempre più peggiorando, tanto che si parla di “shampanskoe” fatto con la polverina.
Fortezza di Sudak (Судакская крепость – Генуэзкая крепость; fortezza genovese). Pochi forse si ricordano dai tempi della scuola in cui si studiava il buio medioevo, quando ancora l’Italia unita era assai lontana a divenirsi, che esistevano le potenti repubbliche marinare. Tra queste Venezia e Genova la facevano da padrone e si spartivano a fasi alterne la dominazione sui mari allora conosciuti e fondavano colonie commerciali, confrontandosi nel caso del Mar Nero, a volte alleandosi, altre volte scontrandosi coi Bizantini, coi Khan dell’Orda d’Oro fino ad essere totalmente eliminate dal gioco con l’avvento dei Turchi Ottomani negli anni 70 del XV sec.
L’ingresso nella cittadella fortificata.
Le mura che conducono in alto fino alla torre Dozorna.
Oltre le mura, al di sotto, la baia di Sudak.
Le mura lungo il crinale della montagna.
Non nascondo una vera emozione nel toccare le pietre del XIV sec., che hanno un sapore italiano, posate da quei nostri lontani antenati genovesi, giunti fino a qui, che fortificarono l’antica cittadella di Soldaia (oggi appunto Sudak) ed ersero la fortezza intorno al 1365, struttura che controllarono per poco più di un secolo. Mentre cammino all’interno della fortezza, le cui mura si sono conservate in un discreto stato, penso che qui sette secoli fa mercanti, navigatori, avventurieri e coloni conducevano una vita frenetica in un contesto multietnico variopinto: veneziani prima, genovesi poi, armeni, greci, ebrei, bulgari, tartari musulmani…ogni comunità aveva un suo luogo di culto e un piccolo quartiere a sé, e tutti vivevano insieme, ma isolati e parlavano diverse lingue, anche se quelle ufficiali restavano il latino, il greco e il tataro.
L’ascesa verso la torre Dozorna.
Il territorio della cittadella vista dall’alto. Le tende bianche sono quelle degli organizzatori del festival medievale.
Oltre le mura, il dirupo a strapiombo sul mare.
Non è agevole né veloce l’arrampicata lungo il pendio scosceso che porta alla torre più alta (Дозорная башня – torre Dozorna), ma la soddisfazione è grande nel vedere il meraviglioso panorama da quassù. E ancora una volta torno a riflettere sulla caparbietà e l’abilità di quei genovesi che ebbero la forza di erigere una così imponente struttura. Il bello è che non esiste un unico percorso, tracciato, lungo il quale i visitatori dovrebbero attenersi per l’ascesa, bensì ognuno sale come gli pare ed è quindi curioso vedere miriadi di turisti che dappertutto avanzano verso la cima e la torre più alta in modo sparpagliato e disordinato.
Alla fortezza di Soldaia ha ancora più senso capitarci – come è avvenuto nel mio caso – in occasione del festival medievale che si svolge in diverse date durante tutto il periodo estivo. In sostanza si ha la possibilità di partecipare ad una manifestazione un po’ bizzarra in cui strani personaggi di diverse epoche storiche si incontrano: dai pirati, ai cavalieri medievali, ai mujaheddin con tanto di keffiah al collo (che non so come facciano a resistere sotto i 30° e il sole!) e con kalashnikov nelle braccia, ai caschi blu dell’ONU…e si ha la fortuna di essere spettatori di una riproduzione teatrale viva con tanto di battaglia tra cavalieri di opposte fazioni vestiti con armature, elmi, brandenti spade e scudi che si menano per davvero sollevando polveroni di terra durante i combattimenti; da una parte quelli che tentano di difendere delle mura di legno erette per l’occasione, che lanciano dardi veramente infuocati, e dall’altra coloro che cercano di sfondarle a suon di spallate! Ogni tanto vieni letteralmente scosso dai colpi a salve dei fucili sparati da uomini delle due fazioni, che ti frantumano le orecchie, ma che ti coinvolgono nel contesto e ti tengono appiccicato fino alla fine per vedere chi ne esce vinvitore.
Un’esperienza davvero intrigante!
La mia breve vacanza di Crimea giunge al termine. Soddisfatto per questi giorni sereni trascorsi completamente “alla russa”, riprendo il lavoro kievliano, ma con la consapevolezza che la scoperta della Crimea non si ferma; dopo Yalta, Novij Svet e Sudak altri angoli devono essere ancora esplorati…
Gringox