Uno storico ritorno: Georgia.
Da dieci anni non mettevo più piede in questo Paese. E di colpo mi ritrovo qui per ben due volte nell’arco di poco più di un mese. Forse per le montagne da brivido, forse per il calore umano del popolo, forse per l’ottima cucina, forse per quel giusto mix di sensazioni mediorientali e russofilia… sta di fatto che la Georgia mi è sempre stata nel cuore, sin da quando vi ho messo piede la prima volta, dieci anni or sono, nel lontano 2003.
La Wizz Air che negli ultimi tempi, per un motivo o per l’altro, sto sfruttando parecchio, anche questa volta mi ha fatto un grosso regalo: l’apertura del volo diretto (economico, se prenotato con un certo anticipo) Kiev – Kutaisi, città georgiana che pur dal nome sconosciuto è la seconda per grandezza dopo Tbilisi, situata sulla “trassa” che collega la capitale, dalla quale dista circa 250 km., alla città costiera di Batumi che dista da Kutaisi 150 km. circa. E così tra ponti e festività varie che in Ucraina hanno abbondato nella prima parte di quest’anno, mi è venuto lo schiribizzo di organizzare due bei viaggetti in Georgia con mogliettina al seguito; prima Tbilisi, dove in qualche modo potevo “ribeccare” vecchie conoscenze risalenti a dieci anni fa, e successivamente Batumi, dove avrei potuto rilassarmi un paio di giorni al mare in un posto dove, se i ricordi non mi avessero tradito, l’acqua del Mar Nero è decisamente più pulita e calda di quella in Ucraina.
Certo, nel 2003, ero ancora viaggiatore con le “palle”: zaino in spalla da 20 kg, tenda, anfibi, fornellino e sacco a pelo, e al fianco l’inseparabile compagno di avventure Mr.G.; la Georgia è stata l’ultima vera avventura “dura e pura” che riempiva le allora vacanze di agosto… allora vivevo e lavoravo ancora a Milano e il mese di agosto si staccava la spina per dare sfogo al desiderio di libertà e alla voglia di mettersi in viaggio, unendo russofilia, spirito di esplorazione e desiderio di avventura.
Quanto cambiamento in dieci anni! Me ne accorgo già subito dopo lo sbarco a Kutaisi nel nuovissimo miniaeroporto, talmente moderno e asettico da sembrare un’astronave extraterrestre piombata in mezzo alla campagna georgiana per caso (attualmente mancano ancora negozi e bar, e pure il cambio valute, per fortuna che almeno ci sono le toilette funzionanti, oltre ad uno striminzito ufficetto informazioni che fornisce qualche depliant, e a qualche cisterna d’acqua, di quelle coi bicchierini di plastica, sparse qua e là nell’aeroporto). Chissà, l’avranno aperto solo per la Wizz Air?
L’aeroporto di Kutaisi.
Ma ben presto, già all’uscita dell’aeroporto dove decine di omaccioni georgiani in pantaloncini e ciabatte ti assalgono pedantemente invitandoti al loro taxi o marshrutka per portarti alla tua destinazione, mi rendo conto che questa è la Georgia che mi ricordavo! Fuori dall’aeroporto la strada, ed intorno la campagna… non c’è traccia della città… Kutaisi non è qui, ma a 20 km.
Tbilisi ed escursioni varie, 01 – 06 maggio 2013.
…dicevo, mentre la marshrutka sfreccia veloce e sicura per le serpentine verso il passo Rikoti per poi ridiscendere verso Khashuri, Gori e fino Tbilisi io guardo fuori e penso, lascio spazio ai ricordi della mente… in fondo non mi sembra tanto cambiata questa Georgia; più probabilmente, anzi sicuramente, sono cambiato io! Questi miei occhi, filtro di emozioni e sensazioni per il corpo e per la mente, non sono più quelli di allora, l’approccio psicologico è diverso. E anche il mio “mirovozrenje” non è più quello di una volta.
Dieci anni fa il Gringox “viaggiatore” si tuffava nella dimensione del viaggio per potersi abbeverare di nuove emozioni e sensazioni, per staccare la spina nel modo più consono alla propria essenza; per alimentare la sua russofilia, il desiderio di conoscenza di nuove realtà unite alla ricerca dell’estremo nel viaggio, per provare sulla pelle quei brividi di gioia che solo il trovarsi in certe situazioni ti dà; e ciò riusciva particolarmente bene poiché le mete erano scelte sempre accuratamente per essere le più originali, le più strane, e perché alla fine di ogni viaggio si poteva tranquillamente dire: “missione compiuta”, e restava la profonda soddisfazione interiore e la consapevolezza di un nuovo arricchimento personale.
Non che oggi non sia più capace di emozionarmi davanti a certe situazioni, ma questi miei occhi oggi vedono la realtà davvero in modo profondamente diverso rispetto ad allora e quei brividi sulla pelle mi tornano ancora, ma sono brividi di nostalgia legati a pensieri e ricordi di quell’ormai lontano passato. Oltre otto anni di Ucraina, di vita kievliana, di spostamenti in lungo e in largo per lavoro attraverso le sterminate campagne ucraine, di confronto-scontro con una quotidianità spesso dura e frutto delle difficoltà anche pratiche del post-comunismo e totalmente diversa da quella in cui sono cresciuto in Italia, hanno nel corso del tempo modificato il mio modo di vedere e vivere la realtà che mi circonda e, sotto certi aspetti, posso dire di essermi adattato ad essa. E così il ripetersi di determinate situazioni e il sapere già in anticipo cosa aspettarsi in una certa situazione, il trovarsi in circostanze simili, il confrontarsi con infrastrutture e servizi simili a quelle in cui mi trovo quotidianamente in Ucraina, il toccare con mano certi paradossi sociali, sono gli aspetti che all’apparenza mi colgono in questo mio ritorno in Georgia, ma senza sorprendermi.
Ecco che dunque tornare in Georgia oggi, nel 2013, non mi dà più quell’impressione di novità, bensì appare ai miei occhi più semplicemente come una visita turistica in una regione meridionale di un Paese appartenente ad una macro-dimensione che già conosco bene ed uscita da un passato comune ancora troppo recente, pur con le diversità del caso (paesaggio, popolo, lingua, clima più caldo, ecc.). Ho detto niente? Paesaggio, popolo e lingua sono fattori determinanti nella differenziazione tra Stati e Nazioni – e lo so bene! Ma ciò vale forse per il resto del mondo; da queste parti invece non è proprio così: popoli e lingue diverse hanno vissuto per anni insieme sotto lo stesso tetto e si sono mischiati tra loro, e tuttora oggi, seppur divisi, risentono di quei legami di allora e si portano dietro un’eredità comune molto difficile e molto lunga da scortecciare e talvolta, come nel caso della Georgia dell’ultimo decennio, accusano un forte senso di vittimismo e di accerchiamento russo – e da qui ecco il problematico rapporto con la Russia, i Russi e la lingua russa (non dimentichiamoci la guerra dell’agosto 2008 quando georgiani e russi si scontrarono per un discorso territoriale; in seguito ad essa la Georgia ha praticamente perso l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia). E poi lo stesso sviluppo post-sovietico è a grandi linee simile in tutte le società e i Paesi che prima formavano l’Unione, e ciò lo si vede nelle infrastrutture, nei servizi, nello stile della nuova edilizia, nel parco macchine, nel design dei nuovi negozi e ristoranti, nella moda, nelle contraddizioni della società, ecc… E l’occhio ucraino o russo che sia (e il mio modo di vedere le cose ormai può essere assimilato a quello), piombando qui in Georgia, di questa situazione se ne accorge immediatamente. Se non fosse per le due orette di volo e per il controllo passaporti in ingresso, avrei potuto tranquillamente dire di essere giunto in una regione dell’Ucraina o della Russia.
Ma se superficialmente non mi stupisco di ciò che vedo fuori dal finestrino, so bene che sono altre le cose per cui vale la pena venire in Georgia e che riescono a sorprendere anche l’homo (post)-sovieticus per il radicalismo e la profondità della loro essenza. Aspetti identitari che legano indissolubilmente tutti i georgiani alla propria Terra e che si tramandano di generazione in generazione e che fanno di questo un popolo orgoglioso e unito, sotto certi aspetti gretto, ma assolutamente unico. Basta ad esempio avere un amico o un conoscente georgiano per rendersi conto del valore della sacralità dell’ospite; basta capitare ad una qualche festa religiosa o di famiglia per comprendere il valore supremo che essi riconoscono nella famiglia; basta semplicemente scambiare due chiacchiere con dei georgiani incontrati per caso per provare sulla pelle il calore umano del popolo; basta entrare in un monastero mezzo diroccato su un cucuzzolo di una montagna per percepire la profonda religiosità della gente; basta sedersi a mangiare in un qualche ristorantino tipico per assaporare l’antica tradizione georgiana sotto forma di cibo, oppure buttare giù – e non sorseggiare! Qui il vino si beve alla goccia – un bicchiere di vino “domashnee”, dopo aver ascoltato le parole del tamadà che ha pronunciato il suo “tost”, per provare sulla pelle (e dopo qualche bicchierino, pure nella testa!) il legame antico tra uomo e vite; basta ammirare le cime innevate e le pareti scoscese delle montagne del Caucaso per comprendere la naturale rudezza di un popolo che è intimamente legato alle sue montagne; basta farsi raccontare qualcuna delle leggende o qualche aneddoto che si tramandano da generazioni per comprendere la fierezza e la combattività dei georgiani…
Certo, dicevo, la stessa Georgia è cambiata in parte, anche “superficialmente”. Allora c’era al potere l’anziano e corrotto Shevernadze (tra l’altro ultimo ministro degli Esteri sovietico ai tempi di Gorbaciov), che in un’occasione io e Mr.G. abbiamo avuto pure la fortuna di conoscere e di stringergli la mano; poi la rivoluzione delle rose del novembre 2003 ha portato al potere Saakashvili, anch’egli oggi caduto in disgrazia dopo le elezioni dell’autunno 2012 che hanno modificato l’assetto parlamentare, relegandolo in minoranza.
Più evidenti di ogni altra cosa – e me ne accorgo guardando fuori dal finestrino della marshrutka – sono la buona condizione delle strade e l’apparato della polizia. La polizia è ora più di tutto il simbolo dell’ordine politico e sociale dell’ultimo decennio.
Una stazione della polizia a Tbilisi, proprio di fronte all’hotel Torelli, dove alloggio, in ul. Tabukashvili.
Pattuglie ovunque, moderne macchine (in genere Skoda o marche giapponesi) e ben attrezzate, poliziotti con belle divise in stile americano che spesso capita di sentire urlare al megafono dalla volante frasi sbiascicate – cosa divertentissima da vedere – per far notare infrazioni e far fermare le macchine interessate; stazioni di polizia moderne e tecnologiche, edifici con vetrate di colore verdognolo-giallastro identici ovunque, disseminati per le strade del Paese, dove sventolano la bandiera georgiana – quella c.d. “delle cinque croci”, pure quella nuova, rispetto a 10 anni fa, anche se in realtà antica e risalente a più di 500 anni fa (identica a quella dell’Inghilterra, se non fosse per l’aggiunta di quattro piccole crocette rosse in ogni quadrato creato dalla croce rossa grande su campo bianco; ai tempi di Shevernadze la bandiera post-sovietica aveva un campo rosso amaranto con un rettangolino in alto a sinistra a strisce orizzontali nera e bianca), accanto a quella dell’Europa, a sottolineare una volontà istituzionale georgiana verso l’unità europea. Questi posti di polizia comunque stridono fortemente col paesaggio intorno, in parecchi casi ancora più arretrato di quello ucraino a me ben noto (ad eccezione come detto delle strade). Del resto, qui è un onore lavorare in polizia: posto sicuro, stipendio sopra la media, benefits vari… altro che Ucraina! Saakashvili ha così eliminato totalmente la corruzione! Qui davvero – dicono – nessun poliziotto prende più bustarelle! Sarà vero?
E così eccoci a Tbilisi. Vagamente me la ricordavo: estesa lungo il fiumiciattolo dall’acqua marrone chiara e dal nome impronunciabile Mtkvari; palazzi in stile soviet si mischiano ad altri in stile zarista e ad altri ancora che mostrano il tipico stile georgiano che a tratti ricorda l’architettura che si incontra nei paesini della Crimea (facciate in muratura, con balconate esterne in legno sorrette da travi diagonali che partono dalla facciata, o facciate in muratura con balconcini sporgenti totalmente in legno, sovrastati spesso da un pergolato di vite).
Il fiume Mtkvari.
Le tipiche case georgiane.
E ancora…
Un traffico totalmente anarchico, intenso e sregolato, ancor peggiore di quello cui sono abituato a Kiev cattura subito la mia attenzione, qui gli autisti hanno il clacson facile e strombazzano volentieri anche per niente… in giro chioschetti vari, curiosi per me sono quelli che vendono khachapuri e vari tipi di pane, tra cui il tipico lavash, e di pseudo pizzette e dolci.
Ma anche negozietti strani, espressione di quella che è la tradizione culinaria tipica georgiana, come nel caso di quello che vende churchkela di ogni tipo e colore. La churchkela è un tradizionalissimo e casalingo dolcetto georgiano a forma di salsicciotto che spesso si vede penzolare nelle bancarelle dei bazar. Essa viene fatta infilando con ago e filo delle noci o nocciole che poi vengono immerse in un denso succo d’uva (o di altri frutti) cotto e mischiato a farina e poi essiccato ed appeso. Per il mio palato non è ch sia un gran chè, è troppo gommosa e abbastanza insapore…
I miei occhi luccicano dal desiderio di poter leggere quelle indecifrabili lettere georgiane che descrivono prodotti nei cartelloni pubblicitari, ma è impossibile. Tanta gente e tanto movimento tutt’intorno, facce caucasiche, scure con nasi pronunciati e capelli neri. Gente vestita in modo molto semplice, spesso si vedono uomini in ciabatte e canottiera. Fa caldo, ma è un caldo secco, si sta proprio bene, se non fosse per quel leggero venticello che non fa altro che sollevare la polvere dalle strade e dai marciapiedi e tirartela negli occhi… come Kiev e un pò tutte le città ex-sovietiche, Tbilisi è parecchio polverosa.
La città si sveglia incredibilmente di sera, al calar del sole, meno traffico di automobili ma più concentrato nel centro, e più brulichio umano; ed è più bella e stimolante di notte con tutte le sue luci e l’illuminazione mirata che esalta le attrazioni cittadine relegando però nella più totale oscurità il resto della città con i suoi quartieri dormitorio. Basta infatti uscire dal centro e non si vede più anima viva in giro. E così risplendono la fortezza Narikala, con la moderna cabinovia che conduce fino alla vetta della collina e che funziona fino alle 23.00, il nuovissimo ponte della Pace, interamente in vetro (costruito dagli Italiani), che se a mio parere stona totalmente di giorno con l’aspetto diroccato e vecchio del centro città, ritrova un suo senso d’essere di notte; e poi l’imponente monumento a Vahtang Gorgasali, il mitico eroe dei Georgiani, fondatore di Tbilisi intorno al 500 d.C., e accanto la bellissima chiesetta Metekhi; e poi le facciate illuminate di certi palazzi nel prospekt Rustaveli, la colonna della piazza Tavisupleba (della Libertà) fino alle luci dei locali delle centralissime e pedonale Lesilidze e viettine adiacenti.
La chiesetta Metekhi e Vahtang Korgasali a cavallo...
La fortezza Narikala illuminata (sullo sfondo).
Il ponte della Pace sullo sfondo.
...e la foto di rito sul ponte della Pace.
Il Parlamento sul prospekt Rustaveli.
Di cose da vedere a Tbilisi forse non ce ne sono moltissime, ma la città è indubbiamente magica e da vivere in tutta la sua pienezza. Perdersi tra i vicoli del centro, tra i cortili diroccati delle vecchie case dove bambinetti giocano felici a pallone e dove da una finestra all’altra penzola biancheria appesa al filo – che forse ricorda un po’ qualche italica città meridionale. Passeggiare nell’elegante e centrale Prospekt Rustaveli, dalla piazza della Rivoluzione delle rose con la sua bella fontana fino alla piazza della Libertà, oppure lasciare il Rustaveli ed inerpicarsi per le ripide stradine che portano alle pendici del monte Mtatsminda, anche questo dal nome complicato, sul quale si può salire con la funicolare: da qui si apre un estesissimo polmone verde che sovrasta la città, un parco giochi ricco di attrazioni dove in certi punti si può godere di una vista mozzafiato sul paesaggio circostante.
...magica l'atmosfera di queste stradine che si inerpicano verso le pendici del monte Mtatsminda...
Tbilisi dall’alto.
Qui si può notare l'imponente nuova cattedrale della Santissima Trinità con la sua enorme cupola rivestita d'oro.
Qualche ora della giornata può essere dedicata ai bagni nelle mitiche terme di Tbilisi e al post-relax. Già l’edificio tutto in mattoni è molto particolare ed ha un chè di arabeggiante, con delle cupole che emergono dal terreno sotto le quali si trovano le vasche. Ed il bello è proprio là sotto: acqua sulfurea, struttura e servizi interni in stile mix “soviet-mediorientale” sono il condimento giusto a questa esperienza… io, dato che sono con moglie al seguito, opto per la vasca “privè” con aggiunta extra del servizio di massaggio durante la seduta (per i single secondo me vale la pena di provare l’emozione delle vasche comuni).
Restare a mollo nella vaschetta con l’acqua leggermente maleodorante dall’olezzo di uovo marcio ad una temperatura di oltre 35 gradi è in fondo piacevole… ad un certo punto, dopo aver bussato fragorosamente, un omaccione con una panza enorme turgida e rotonda entra nella stanza con in mano uno straccio ruvido e non certo nuovo… chissà quante schiene avrà grattato! Dopo avermi invitato rudemente a sdraiarmi a pancia in giù, inizia a passarmi lo straccio bagnato sul corpo calcando vigorosamente… La procedura viene ripetuta poi per le singole parti del corpo ma nel complesso non dura neanche dieci minuti, il che mi delude, proprio dopo che mi stava piacendo… e mi fa pensare ad una fregatura, poiché comunque non è un servizietto proprio economico, ma che ci si può fare! Resta comunque una sensazione assolutamente da provare!
Si esce dopo un’oretta di bagni sulfurei rigeneranti e ti vien voglia di bere qualcosa di fresco, e allora da lì si arriva subito alla piazzetta vicina, da dove poi inzia la zona pedolnale, qui un locale vale l’altro. Questo è il Paese dove quando si ha sete, non si usa la parola “acqua”, ma si chiede: “mi dia una Borjomi o una Nabeghlavi” (l’acqua georgiana amarognola dal vago retrogusto salmastro unica nel suo genere conosciuta ed amata da decenni in tutto il territorio ex-sovietico), o si può ordinare l’ottima birra Zedazeni o la Natakhtari, oppure le classiche “limonad” che qui vanno molto di moda (a me piace il tarkhun – quella di colore verde per intenderci, dissetante e non troppo dolce, prodotta con l’estratto di quella pianta), e che sono nient’altro che alternative molto più valide e gustose della Coca-cola o della Fanta.
Dopo essersi dissetati si può poi proseguire sulla riva sinistra del Mtkvari e, una volta oltrepassato il ponte Metekhi, arrivare alla statua di Vahtang Gorgasali e visitare la chiesetta Metekhi che ci sta dietro, e poi alla curatissima piazza Europa e da qui risalire in questa parte pure antica della città, tra palazzi restaurati e bellissimi, fino ad Avlabari – un grande spiazzo caotico dove c’è pure la stazione della metro, da dove poi si può camminare fino alla chiesa più grande di Georgia, la cattedrale della Santissima Trinità. Tanto imponente, quanto moderna (finita di costruire nel 2004) pur nel suo rispetto dello stile classico georgiano, e trasudante di ricchezza come mostra l’enorme cupola rivestita d’oro e la croce che la sovrasta di oltre 7 metri tutta d’oro; ma ai miei occhi vuota di quella religiosità tipica delle chiesette più intime ed antiche, essa è la terza cattedrale ortodossa più alta del mondo.
Il ponte Metekhi.
Il monumento a Vahtang Gorgasali, fondatore di Tbilisi.
Piazza Europa.
La via Metekhi che porta alla piazza Avlabari.
La cattedrale della Santissima Trinità.
Non è male neppure passeggiare sul lungofiume nella nuova area urbana (non ancora del tutto finita) tra aiuole e sentierini, anche se per il mio modo di vedere le cose, quegli obrobri metallici a forma di tubi sono un pugno in occhio; ma forse chi li ha voluti e fatti realizzare, ha cercato di ottenere un forte contrasto architettonico, e ci è riuscito benissimo! È una sorta di struttura per concerti e manifestazioni teatrali. E da qui è d’obbligo avvicinarsi al ponte della Pace, attraversarlo e …farci pure la foto di rito…
Il ponte della Pace in centro; sulla destra la struttura tubolare per i concerti e gli spettacoli e, dietro di essa, si intravvede il nuovo palazzo presidenziale.
Proprio all’interno di questa nuova area urbana appena descritta e non lontano dal ponte di vetro c’è la stazione della ultramoderna cabinovia che ti porta su fino ai resti della fortezza Narikala. Vale la pena di prenderla. In pochi minuti si è di nuovo sopra la città (dopo essere stati sul monte Mtatsminda): da qui si arriva a piedi fino alla “Madre Patria Georgia”, che ricorda vagamente la “Rodina Mat’” di Kiev, ma è molto più piccola e bassa e la simbologia è legata più alla tradizione georgiana che all’esaltazione sovietica.
Qui a Tbilisi la Rodina Mat’ tiene la spada da una padre e la coppa di vino dall’altra, simboli di ostilità nel primo caso e di ospitalità nell’altro, a seconda delle intenzioni bellicose o pacifiche degli stranieri che giungono in terra georgiana; mentre a Kiev l’imponente Madre Patria con spada e scudo con tanto di raffigurazione di falce e martello è opera tipicamente propagandistica sovietica e commemorativa della Grande Guerra Patriottica contro il Nazismo. Ridiscendere verso la città, da Narikala, si può farlo a piedi in modo da poter toccare con mano ciò che resta della fortezza.
Tbilisi ha pure due linee di metropolitana. Sono curioso di prenderla, almeno per un paio di fermate. Sotto terra Tbilisi ricorda un po’ Kiev, un po’ Mosca, si respira la stessa aria e ogni tanto tirano di quelle folate di vento… Netto è il marchio sovietico della struttura, evidente sia nelle stazioni, col loro stile pomposo e monumentale ricco di granito rosso e di marmo, sia nei vagoni.
Una stazione della metro di Tbilisi.
Non avevo che un sottilissimo filo conduttore che mi univa a quei ragazzi di Tbilisi, a Merab, a Zvjadi, a Georghij, concreti montanari appassionati del loro Caucaso coi quali nel lontano agosto 2003, insieme a Mr.G. avevo realizzato una epica avventura sulle montagne nell’Ossezia del Sud (ora sotto controllo russo), un trekking ad alta quota alla volta del lago Helis Tba. Solo l’indirizzo e-mail di Merab nel cui profilo fortunatamente lui aveva inserito un numero di cellulare. Dopo diversi tentativi andati a vuoto di contattare quel numero dall’Ucraina – probabilmente sbagliavo qualcosa nella numerazione, proprio prima della partenza in virtù di un lampo di genio, sono riuscito in qualche modo a fare breccia e a parlare con lui, avvisandolo del mio di li a breve ritorno a Tbilisi. Non avevo notato una grande emozione da parte sua, forse non aveva realizzato bene chi ero e che erano dieci anni che le nostre voci non si sentivano… io invece ero trasudante di emozione e già volevo abbracciare lui e quegli altri ragazzi.
È bastato poco. Subito la sera stessa del mio arrivo a Tbilisi eccoci tutti insieme – dopo 10 anni! – seduti intorno a un tavolo in un tipico ristorantino georgiano non lontano dal prospekt Rustaveli, dal nome tutto georgiano “Pasanauri”. Roba da non crederci, chi l’avrebbe mai detto! Non esagero certo in sentimentalismo quando dico che gli occhi ci luccicavano nel rivivere le avventure di dieci anni prima e nel ricordare le conoscenze comuni che durante quel mese del 2003 avevano riempito le nostre giornate georgiane, mentre il tavolo si riempie delle abbondanti portate dei tipici piatti georgiani ordinati dai ragazzi. Chiunque intorno e così la moglie stessa, non poteva non cogliere l’emozione e il calore che si stava respirando in questi attimi. Ed io mi ero preparato a questo storico incontro non venendo a mani vuote, ma portando in dono due dvd contenenti il video di quelle avventure di dieci anni prima e le foto che nessuno di loro aveva ancora mai visto! Non è stato un’operazione semplice trovare a Kiev chi avesse la tecnologia per trasferire il video su dvd, dato che ai tempi con Mr.G. si viaggiava con la videocamera analogica, quella con le cassettine… e loro non finiscono più di ringraziarmi, morendo dalla voglia di vederne i contenuti.
La prima mangiata in terra di Georgia non smentisce certo le mie aspettative! Io amo mangiare bene in generale! Del resto però non sono certo schizzinoso e non mi tiro indietro ad assaggiare curiosamente piatti tipici quando mi trovo in Paesi e Terre diverse. Anche per questo la Georgia mi era rimasta nel cuore, perché qui si mangia bene davvero: formaggi, in particolare il suluguni (che ha un sapore a metà tra il caciocavallo e la mozzarella), basturmà (specie di prosciutto affumicato, ma di carne di manzo), vino, birra, la mitica acqua Borjomi, parecchi piatti tipici come il khachapuri (la tipica pizza georgiana col formaggio), i kinkhali (i ravioloni di carne), il “banale” shashlik, il harchò (la zuppa con carne e verdure), il lobio (una specie di fagiolata servita nel tipico “garshochek” di terracotta), le melanzane grigliate e le insalate con le noci tritate, il lobiani (una focaccia ripiena con crema di fagioli), ecc. Tutti cibi che davvero soddisfano il palato… Su tutto trionfano certamente i kinkhali: essi hanno la strana forma di una piccola borsa per il ghiaccio e sono fatti di pasta ripiena di carne trita di vitello e maiale o di montone. Come mangiarli non è intuitivo né del tutto semplice all’inizio, ci vuole una certa tecnica: va preso il raviolone, stretto tra le mani ed avvicinato alla bocca; una volta morso ad un’estremità occorre tenere le labbra vicine allo stesso, chiuderle e succhiare il liquido, formatosi all’interno in fase di cottura, per evitare di sbrodolarsi addosso.
Ma anche il mitico khachapuri – la pizza georgiana! – una focaccia ripiena di formaggio che è fuso all’interno. La versione adzhara è curiosa (anche se io personalmente preferisco quello classico): in questo caso la focaccia ha una forma di barchetta e all’interno si trovano un mix di formaggi e l’uovo crudo che va mescolato prima di essere mangiato.
I kinkhali e dietro resti di khachapuri tradizionale...
...come si deve mangiare correttamente i kinkhali...
...il lobio...
...e il khachapuri adzharskij.
Qui nel locale intanto constato un altro particolare di questa “nuova” Georgia: i camerieri giovani non spiaccicano una parola di russo, anzi è più facile che capiscano l’inglese che il russo. Già i miei amici fanno fatica a parlarlo, poiché non lo usano praticamente più, ma poco alla volta se lo ricordano poiché comunque appartengono alla generazione nata nell’Urss… mentre la nuova gioventù georgiana non sente più nessun legame con la Russia e le istituzioni non favoriscono certo il mantenimento della lingua russa!
E così, tra un “tost” e l’altro pronunciato dal nostro tamadà di turno Georghi, trascorre la serata e già viene delineato il programma della nostra permanenza qui. Ecco il senso dell’ospitalità, che si accompagna alla dedica di tempo all’ospite e che emerge in tutta la sua incisività. Noi, piombati in Georgia senza manco quasi avvisare, per di più in un periodaccio di festività sacre molto importanti (siamo nei giorni precedenti la Pasqua ortodossa) dove tutti sono indaffarati ad organizzare i ritrovi famigliari, ci ritroviamo praticamente inseriti nei loro programmi, quasi fossimo parte della loro famiglia, del loro ambiente. Non abbiamo scelta, siamo loro Ospiti. È incredibile come i georgiani riescano, in modo affabile certo, ma che non ti lascia scampo, a coinvolgerti se vogliono che tu stia con loro. Ma d’altra parte siamo qui in vacanza e così ci lasciamo trascinare nei loro programmi, che hanno l’idea di essere tutt’altro che noiosi…
(continua...)
Gringox