CHI L'HA VISTO???
CIAO C69
DA KATAWEB:
Amos Gitai: 'La mia Terra Promessa'
Amos Gitai
la nostra inviata Arianna Finos
Nella gelida notte sul monte Sinai, ha luogo l'asta. Le ragazze dell'Est, entrate nel paese dal confine con l'Egitto, vengono fatte scendere dai furgoncini in cui sono stipate.
Una ad una sono spogliate ed esaminate, vendute e comprate:"Questa è giovane, ha il seno sodo, vale settemila". "Questa è docile, ha un bel sedere". "Questa è la più esperta". E' una donna, un'occidentale, a battere l'asta umana. Le ragazze tremano per il freddo e la paura. Alcune piangono, urlano, altre si lasciano esaminare.
La loro odissea di schiave bianche è appena iniziata. Seguiranno trasferimenti da Tallin ad Haifa, Eilat, Ramallah tra stupri, botte, segregazioni, umiliazioni. La scena dell'asta, che dura almeno dieci minuti, è l'inizio di 'Promised Land' - in Italia uscirà in autunno con il titolo "Hotel Promised Land" - film in concorso di Amos Gitai sulla tratta delle bianche in Israele. Una pellicola forte, che alla fine della proiezione per la stampa ha suscitato applausi e qualche polemica.
Al dì là del giudizio estetico, il film rappresenta una fortissima denuncia su uno dei traffici internazionali più lucrosi e che in Medio Oriente coinvolge ugualmente israeliani e palestinesi.
L'intervista
Lei ha scelto un tema forte: la tratta delle bianche dall'Est Europa verso Israele e Palestina. Una scelta coraggiosa.
Oggi in Medio Oriente due gruppi di terroristi si dividono la visione del conflitto e ognuno ha i suoi argomenti ma esistono altre persone che non appartengono nè alla resistenza palestinese nè agli israeliani, per esempio queste donne bianche che arrivano dall'Est che sono delle migranti e non hanno nè voce nè volto. Ho cercato di dar spazio a persone che non hanno visibilità , che per i media non esistono. Tutto il medio Oriente è semplificato nello scontro di un gruppo contro un altro, una notte è uno a fare azioni spaventose la notte dopo è l'altro, ma invece il Medio Oriente è altro e io volevo raccontarlo.
Lei si è documentato attraverso i rapporti dell'Onu su Israele, come ha lavorato con le sue informazioni?
Solitamente quando faccio film basati sulla realtà come Kippur e Kadosh faccio lunghissime ricerche e voglio che anche gli attori e le altre persone che lavorano al film siano coinvolti. Non si tratta di un processo rigido ma abbiamo cominciato a parlare con le persone coinvolte in questo commercio, abbiamo investigato affinchè tutte le persone coinvolte nel progetto sapessero cosa andavamo a raccontare. Non credo nell'idea che un attore per interpretare un ruolo debba solo firmare un contratto, imparare le battute e recitare. E' importante che carichino il loro cervello e utilizzano la loro sensibilità , così facendo saranno liberi e potranno fare bene il proprio lavoro.
Lei ha incontrato anche le ragazze che nella vita sono state oggetto di commercio...
E' una situazione scioccante quella della moderna schiavitù. Il cinema è un mezzo problematico rispetto a questo tema perchè spesso mistifica l'immagine della prostituzione mostrando i bordelli nell'immagine che ne dava Baudelaire nell' Ottocento, una visione assolutamente irreale, che non può essere romanticizzata.
Il film è una forte denuncia dell'ipocrisia della società , sia israeliana che palestinese.
Molte persone del Medio Oriente hanno fatto un patto per fare soldi, per facilitare il traffico. Su questo sono riusciti a mettersi d'accordo al di là delle idee politiche.
Il tema è molto forte e nel film ci sono anche immagini disturbanti: sesso, violenza. Si aspetta delle reazioni anche di dissenso?
Solitamente i miei film provocano reazioni, c'è chi li ama e chi si sente veramente disturbato. A me va bene Non appartengo al gruppo di registi che vuole essere amato in ogni caso.
Il finale presenta una strana ironia...
Penso che sia la contraddizione del Medio Oriente talvolta tragici eventi finiscono per costituire un'apertura. La pace arriverà quando saremo esausti dal futile esercizio di uccidersi a vicenda.
Il film oscilla tra uno stile documentaristico e un ritmo da thriller che tiene sempre alta la tensione dello spettatore nei confronti della sorte delle ragazze. E' stata una scelta stilistica?
Da un lato il film è un documento, e per queste immagini mi sono fatto aiutare molto dalla mia capo operatore che è una donna (ma anche la produzione e tutto il cast è prevalentemente femminile), dall'altra volevo andare oltre la superficie perchè quando si fa un lavoro con la macchina da presa si esprime sempre una propria sensibilità .
Oggi parleremo molto del tema della tratta delle bianche, ma domani?
Il cinema può fare quello che è nei suoi mezzi, può essere disturbante, può fare pensare ma ovviamente non è il mezzo più efficace per cambiare il mondo. Ce ne sono altri, mezzi politici, ma credo che sia comunque uno strumento importante perchè se si riesce a stimolare il pensiero nella gente è già un buon inizio.
Arianna Finos 07-09-2004