Alisa Ganieva è una scrittrice daghestana, autrice di "Salam, Dalgat", recentemente pubblicato in Italia. Attiva sulla scena letteraria russa, la Ganieva cerca di superare gli stereotipi reciproci tra russi e persone provenienti dal Caucaso del nord. E nel suo nuovo romanzo prova a immaginare cosa succederebbe se improvvisamente il Caucaso si separasse dalla Russia. Un'intervista
Dal 2008 lei è coordinatrice di un incontro fra giovani scrittori del Caucaso del Nord a Nal'čik...
Alisa Ganieva (Debut Prize/flickr)
La Convocazione dei giovani scrittori del Caucaso del Nord è un'iniziativa della Fondazione per i programmi socio-economici e intellettuali diretta da Sergej Filatov. La stessa organizzazione si occupa del forum annuale dei giovani scrittori della Russia e della CSI, di seminari per giovani autori, scrittori per bambini e così via. Gli incontri fra scrittori nel Caucaso del Nord sono stati inaugurati nel 2008 a Nal'čik. All'epoca avevo aiutato la Fondazione per il coordinamento e avevo curato gli atti del convegno “Giovani scrittori del Caucaso”. In seguito il luogo del raduno prese a cambiare ogni anno: ad esempio l'ultima volta gli scrittori si sono riuniti a Machačkala, in Daghestan. Tutti i partecipanti devono superare una selezione su base concorsuale, dopodiché si ritrovano insieme, incontrano scrittori illustri, redattori, critici, esperti a livello regionale e nazionale. Il lavoro formale (la pura raccolta di testi, la discussione di problemi letterari impellenti, generali, politici e sociali) sfocia sempre in una comunicazione informale, spontanea fra i partecipanti, che gioca - si capisce - un ruolo importantissimo, unificante e illuminante.
Si può determinare l'esistenza di una letteratura nord-caucasica?
La letteratura nord-caucasica non esiste. Non solo perché si suddivide in cabardina, cecena, lezgina e ancora in centinaia di altre, ma perché, soprattutto, nel Caucaso del nord non esiste un unico processo letterario con tendenze nette, con una lunga lista di veri autori, con caratteristiche di stile e contenuto ben distinte. Ci sono alcuni scrittori isolati, la cui arte è piuttosto autonoma. Francamente, di rado gli scrittori si leggono l'un l'altro, e a questo si devono aggiungere le barriere linguistiche. Per cui gli incontri di cui si è detto prima svolgono un po' il ruolo di salvagente.
Quali sono gli stereotipi a Mosca sui daghestani? E, al contrario, dei daghestani sui russi? Come scrittrice, ha un ruolo nel mitigare gli stereotipi da entrambe le parti?
A Mosca dei daghestani si pensa in genere che siano aggressivi, criminali, e selvaggi ignoranti, mentre in Daghestan i pregiudizi vedono i russi ubriaconi e codardi. Sia l'uno sia l'altro, si capisce, sono cliché mostruosi terribilmente stupidi che purtroppo sono fortemente radicati nella testa della maggioranza degli abitanti. Ma sono convinta che un testo artistico sia in grado di affrontarli. Dopo l'uscita di “Salam Dalgat” ho ricevuto molte lettere dalla fascia media di cittadini della Russia. Mi scrivevano: “Adesso sappiamo che in Caucaso le persone sono molto diverse e molto simili a noi. Noi abbiamo più o meno gli stessi problemi.” Oppure: “Prima me ne fregavo di chi vivesse nel Caucaso, adesso invece mi interessa ed è diventato importante”. Certo, si tratta di casi isolati, ma non per questo mi sono meno cari.
Cosa vede nel futuro dei rapporti fra Russia e Caucaso del Nord?
La situazione nel Caucaso dipende completamente dalle autorità di Mosca. Cambia il potere, cambia la situazione. Dire in che direzione è complesso, ma ho paura che l'ordine totale andrà pagato con sangue e angoscia. Uno degli scenari possibili è l'improvvisa separazione del Caucaso dalla Russia. È questo il tema del mio nuovo romanzo, “La montagna in festa”. È un libro sulla contemporaneità, con alcune licenze antiutopiche. Ho tentato di riunire l'asse artistico di scene, nomi, accadimenti, paroline, dettagli, in un unicum carnevalesco, pungente da un punto di vista sociale e anche un po' mistico, in cui c'è sempre qualcosa che si muove in continuazione. Si muovono non solo i personaggi, non solo le idee e le folle, ma anche la lingua: la narrazione dell'autore si alterna in alcuni momenti ad una stilizzazione fiabesca, in altri in una parodia del socialismo reale daghestano, o in altri ancora in dialoghi in slang, coronando la montagna in festa come simbolo di una residua cultura caucasica che sta scomparendo.
Perché leggere? E perché leggere proprio i suoi libri?
Perché serve leggere? Perché la persona che non legge vive in una cameretta ammuffita e angusta mentre nello stesso tempo il mondo intero imperversa intorno. Per quanto riguarda i miei libri, spero che mostrino i microcosmi isolati del Caucaso, allo stesso tempo narrando di persone comuni e di collisioni umane universali comprensibili a tutti e a ciascuno su questa terra.
Salam, Dalgat è pubblicato in Italia da Marco Tropea Editore all'interno dell'antologia "Il secondo cerchio". Osservatorio ne ha pubblicato una recensione di Maria Elena Murdaca.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/...a-Russia-127531